Dall’ultimo rapporto di Amnesty International emerge uno scenario ancora allarmante, con Paesi che hanno visto un’impennata nel numero delle esecuzioni. Se in molti Stati si stanno facendo passi in avanti per abolire la pena di morte, l’Iran rimane in testa alla classifica delle condanne: tra queste c’è quella di un ricercatore che ha lavorato anche in Italia.

L’Iran conferma: Ahmadrez Djalali sarà impiccato

Nel 2016 Ahmadreza Djalali, medico, ricercatore e docente irano-svedese che ha lavorato anche all’università del Piemonte orientale, fu arrestato in Iran con l’accusa di spionaggio a favore dei servizi segreti israeliani e condannato a morte dopo un processo sommario. I suoi avvocati hanno denunciato i maltrattamenti e le torture inflittegli in carcere con il solo scopo di estorcergli una confessione. Nonostante le condizioni di pressione a cui è stato sottoposto, il ricercatore ha sempre negato le accuse.

L’esecuzione della condanna era inizialmente prevista per il 21 maggio, poi è stata sospesa su richiesta dell’avvocato di Djalali: il portavoce della magistratura iraniana ha congelato però le speranze di quanti (tra cui Amnesty International, che ha avanzato una petizione per salvare il ricercatore) speravano in una diversa soluzione, confermando che l’impiccagione avverrà a “tempo debito”.

Tre Paesi sono responsabili di 8 esecuzioni su 10

Il caso Djalali rischia tuttavia di essere solo un numero di una statistica tragica. Secondo il recente rapporto di Amnesty, il Paese in cui è detenuto Djalali, l’Iran, è quello con il più alto numero di esecuzioni dal 2017. Lo scorso anno ci sono state almeno 579 condanne a morte in 18 Stati nel mondo, in aumento del 20% rispetto al 2020. Solo in Iran ne sono avvenute almeno 314 (rispetto alle 246 dell’anno precedente) e quelle per reati di droga sono quintuplicate rispetto al 2020. Con l’Iran, l’Egitto e l’Arabia Saudita sono responsabili dell’80% di tutte le esecuzioni accertate.

A livello globale, la pandemia ha contribuito a rallentare i sistemi giudiziari e di conseguenza anche le esecuzioni; con la fine delle restrizioni il numero delle condanne eseguite è tornato a crescere. In alcuni Paesi, peraltro, le esecuzioni sono proseguite in modo consistente anche durante la pandemia. In Bangladesh sono state giustiziate almeno 181 persone, in India 144 e in Pakistan almeno 129. L’Arabia Saudita ha mandato a morte 81 persone in un solo giorno a marzo 2020.

Sono stati registrati aumenti delle esecuzioni anche in Somalia e Yemen, Sud Sudan e Bielorussa (tutti Paesi in cui si pratica la fucilazione), ma anche in Giappone e negli Emirati Arabi Uniti (in entrambi si pratica l’impiccagione). In alcuni di questi Stati non c’erano state esecuzioni nel 2020. Le condanne a morte sono cresciute significativamente anche nella Repubblica Democratica del Congo, in Egitto, in Iraq, in Myanmar, in Vietnam e Yemen.

Un numero sottostimato

Il numero delle esecuzioni e delle sentenze capitali registrate da Amnesty International non tiene conto delle persone condannate e messe a morte in Cina, in Corea del Nord e in Vietnam, il cui numero totale potrebbe raggiungere alcune migliaia. La segretezza imposta dalle autorità statali e il limitato accesso alle informazioni ha reso impossibile verificare i dati in maniera indipendente.

I Paesi che hanno fatto passi in avanti

Nonostante questo quadro non certo roseo, il totale delle esecuzioni registrate da Amnesty International nel 2021 è il secondo più basso, dopo quello del 2020, almeno a partire dal 2010, e a livello globale crescono i Paesi abolizionisti.

Nel luglio 2021 in Sierra Leone il Parlamento ha approvato all’unanimità una legge che, quando entrerà in vigore, abolirà la pena di morte. Lo scorso gennaio anche il Kazakistan ha abolito la pena capitale per tutti i reati. In Papua Nuova Guinea è stata avanzata una proposta di legge abolizionista, ancora da esaminare, mentre il governo della Malesia dovrebbe presentare, verso la fine dell’anno, una proposta sulla riforma della pena di morte. Anche in Ghana e nella Repubblica Centrafricana i parlamenti hanno iniziato a discutere dell’abolizione.

Negli Stati Uniti d’America è dal 1988 che le esecuzioni non così poche. La Virginia è diventato il primo stato abolizionista del Sud e il ventitreesimo in totale, mentre per il terzo anno consecutivo lo stato dell’Ohio ha riprogrammato o sospeso tutte le esecuzioni. Gambia, Kazakistan, Malesia, Federazione Russa e Tagikistan hanno proseguito a rispettare la moratoria ufficiale sulle esecuzioni.

Source link

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *