La violenza di genere aumenta sui social e le applicazioni di messaggistica: sono 826 i casi gestiti dalla polizia postale e delle comunicazioni nei primi dieci mesi di quest’anno. Ecco tutti i dati.

A lanciare l’allarme è ‘Free and s@fe online’, report della Polizia sulla lotta alla violenza di genere in rete, “un fenomeno complesso”, che “si traveste spesso da ‘amore geloso’ e confonde le proprie tracce anche online, si struttura nel tempo come una spirale che piano piano, intrappola la vittima e la costringe all’isolamento e alla paura”.

Cosa dicono i dati

Da gennaio a ottobre di quest’anno le donne che hanno denunciato perché vittime di minacce online sono state 371, il 24% in più rispetto alle 347 dello stesso periodo dell’anno scorso. Un incremento “preoccupante”, sottolinea il documento, visto che “le minacce sono spesso un primo passo per avviare una vera e propria persecuzione online”. Nel 2023, gli strumenti online più utilizzati per minacciare le donne sono i social network (50%), e le app di messaggistica (31%), “attuali medium irrinunciabili delle comunicazioni con gli altri. Avvicinarsi a strumenti per comunicare con la paura di subire attacchi verbali costituisce già un forte elemento di limitazione della liberta’ personale”.

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Nei primi dieci mesi di quest’anno, la Polizia postale ha poi registrato 377 casi di molestie online, con un incremento del 10% rispetto al 2022. presuppongono una certa ripetitività delle azioni lesive che colpiscono la vittima limitandone il senso di sicurezza: quelle contro le donne avvengono in prevalenza attraverso servizi di messaggistica (38%) e i social network (33%). La maggioranza delle persecuzioni in rete che colpiscono le donne sono messe in atto da persone che non solo si conoscono nella vita reale, ma magari hanno condiviso percorsi di vita comune: ex coniugi, compagni di vita, colleghi di lavoro che, soprattutto attraverso i social network, prolungano la forza lesiva della loro aggressione, usando la rete per insultare, diffamare o diffondere contenuti privati. Nei primi dieci mesi di quest’anno sono stati già registrati 87 casi, eguagliando il numero di denunce raccolte nell’analogo periodo dello scorso anno.

Poi c’è il capitolo dedicato al revenge porn. Quello che talvolta nasce come un gioco sessuale consensuale tra adulti, “può diventare lo strumento di una vendetta subdola e violenta – avverte il report – che travolge la vita della vittima, distruggendone l’immagine pubblica: è il caso del revenge porn, un fenomeno che aggredisce soprattutto le donne e per il quale risulta sempre complesso chiedere aiuto perché ci si sente responsabili di un errore di valutazione sulle intenzioni dell’altro”. Quest’anno, al 31 ottobre, i casi denunciati da donne per diffusione illecita di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, sono 163, con un andamento in linea con quello registrato nell’analogo periodo dell’anno passato.

I campanelli d’allarme

“Le violazioni fatte di post che insultano, di indiscrezioni diffuse sui social, di incursioni nei profili personali – spiegano gli autori del report – vengono considerate talvolta un male minore, qualcosa di fastidioso ma che non sempre determina un senso di vulnerabilità e di pericolo urgente come quando i pedinamenti e le minacce avvengono sotto casa, sul posto di lavoro, nel bar della colazione tra amiche. Eppure oggi i reati online sono così strettamente legati alla violenza concreta, da dover essere valutati come un campanello d’allarme che suona, indicando una minaccia concreta alla sicurezza”. Per il direttore del Servizio Polizia postale e delle comunicazioni, Ivano Gabrielli, “è importante saper riconoscere i primi segnali di controllo, i tentativi di sottomissione che oggi possono passare dall’uso distorto di smartphone, app e social network. È imponendo controllo psicologico, come nello stalking e nelle molestie online, che si realizzano aggressioni che, pur non toccando fisicamente le vittime ne travolgono la vita, cancellando ogni concreta traccia di serenità”.

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Fonte Agi

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