Una data “virtuale” utile per riflettere sulla pressione fiscale che i contribuenti italiani devono sostenere ogni anno: il 7 giugno 2022 è il Tax freedom day, il giorno di liberazione fiscale. Vi spieghiamo di cosa si tratta e le ragioni per cui viene calcolato.

Martedì 7 giugno il contribuente medio italiano potrà considerarsi “libero” dal versamento di tasse e contributi previdenziali allo Stato: si tratta infatti del Tax freedom day 2022, il “Giorno di liberazione fiscale”. A partire da questa data ogni ricavo, dal primo all’ultimo centesimo, finisce nelle tasche dei lavoratori. Ma è davvero così? Facciamo chiarezza.

Che cos’è il Tax freedom day e come si calcola

Il Giorno di liberazione fiscale, in inglese “Tax freedom day“, è una data puramente simbolica e teorica, ricavata da un calcolo fatto dall’Ufficio Studi della CGIA di Mestre. Una data che varia a seconda della tassazione che in un determinato anno lo Stato applica e che serve proprio a esemplificare l’entità della pressione fiscale sul contribuente. Suddividendo la stima del Pil nazionale prevista nel 2022 per i 365 giorni dell’anno, l’ufficio studi ha ottenuto un dato medio giornaliero; poi ha rapportato questo numero alle previsioni di gettito dei contributi previdenziali, delle imposte e delle tasse che i lavoratori che percepiscono un reddito verseranno quest’anno.

Il risultato di questa operazione ha restituito la data che “celebriamo” in quest’occasione. Nel 2022, a distanza di poco più di 5 mesi dall’inizio dell’anno (157 giorni lavorativi inclusi i sabati e le domenica), il contribuente medio italiano può ritenere estinto il suo debito fiscale nei confronti dello Stato e della pubblica amministrazione (Irpef, Imu, Iva, Tari, addizionali vaie, Irep, Ires, previdenza, etc…) e considerare quello che percepisce come guadagno in tutto e per tutto.

La pressione fiscale nel 2022 e negli anni passati

Calcolando una data che segnasse il Tax freedom day per diversi anni, è stato possibile anche ricostruire un quadro della pressione fiscale in Italia nel tempo. Sempre secondo la CGIA, nel 2005 il giorno di liberazione fiscale cadeva il 23 maggio, dopo “soli” 142 giorni lavorativi. Quell’anno, la tassazione si attestava intorno al 39%. L’anno peggiore invece è stato il 2021, quando la data è arrivata solo l’8 giugno, in grosso ritardo rispetto agli anni passati. Quello del 2021 va considerato come un record di pressione fiscale, che ha raggiunto il 43,5%. Questo è successo a causa della crescita del Pil oltre il 6,5% registrata l’anno scorso, che ha determinato anche un aumento delle entrate in relazione al deciso crollo del 2020 (-9%).

Il confronto con gli altri Paesi europei nel 2021

Oltre al confronto temporale, con i dati raccolti è possibile anche fare una comparazione geografica e verificare se l’Italia è più o meno virtuosa degli altri Stati europei. Nel 2021 i contribuenti hanno lavorato per il fisco fino all’8 giugno, ovvero 5 giorni in più rispetto alla media registrata nei Paesi dell’area euro e 7 giorni in più rispetto a quella calcolata su tutti i 27 Paesi Ue. Mettendo insieme questi dati è emerso anche che solamente la Francia, l’anno scorso, ha esercitato sui suoi contribuenti una pressione superiore a quella italiana, con 14 giorni in più rispetto ai 142 calcolati per il nostro Paese. Prima di noi hanno invece festeggiato il giorno di liberazione fiscale la Germania (4 giorni prima), l’Olanda (14 giorni) e la Spagna (17 giorni). Secondo lo studio della CGIA, in cima alla classifica dei Paesi dove il fisco è più clemente c’è l’Irlanda. Nel 2021 la pressione fiscale nell'”Isola di smeraldo” era al 21,5% e solo dopo 78 giorni dall’inizio dell’anno, il 20 marzo, i contribuenti irlandesi potevano considerarsi liberi dai loro obblighi con il fisco.

Le scadenze fiscali di giugno e gli incassi dello Stato per il 2022

La data elaborata dall’ufficio studio della CGIA è puramente virtuale e ipotetica, e non possiamo dimenticarci delle tasse già da ora. Per il mese di giugno è infatti previsto quello che l’associazione definisce “ingorgo fiscale“: come si vede sul sito dell’Agenzia delle Entrate, in questi 30 giorni il contribuente italiano dovrà rispettare 141 scadenze. “In Italia non solo subiamo un prelievo fiscale eccessivo, ma anche le modalità di pagamento delle imposte provocano un costo burocratico che non ha eguali nel resto d’Europa”, commenta la CGIA.

Nel 2022, con una crescita stimata al 2,5%, il peso fiscale dovrebbe diminuire di 0,4 punti percentuali. Il motivo? La riduzione delle imposte e dei contributi decisa dal Governo Draghi. Abbiamo infatti la riforma dell’Irpef, che ha portato a una diminuzione di 6,8 miliardi del gettito; l’esonero contributivo di 0,8 punti percentuali ai lavoratori dipendenti con una retribuzione mensile sotto 2.692 euro, che ha fatto risparmiare 1,1 miliardi; l’esonero dall’Irap per le persone fisiche (-1 miliardo). Secondo il Ministero dell’Economia, se si considera il leggero miglioramento delle principali variabili economiche e il loro impatto sull’andamento del gettito, lo Stato dovrebbe guadagnare quasi 40 miliardi di imposte e contributi in più rispetto al 2021, in parte anche a causa dell’aumento dell’inflazione tra il 6 e il 7%.

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