Dal sequestro alla confisca definitiva fino alla demolizione con 400 kg di esplosivo che lo hanno polverizzato in pochi secondi. È durato 16 anni l’iter giudiziario che riguardava palazzo Mangeruca, simbolo dell’abusivismo edilizio della ‘ndrangheta.

Un edificio abusivo di sei piani esteso su 6mila metri quadrati, realizzato lungo la strada statale 106 in territorio del comune di Melissa, nel crotonese, a ridosso di un tratto di mare fra i più suggestivi della Calabria. L’ecomostro dei clan è stato distrutto oggi.

L’immobile, adibito a mobilificio, venne sequestrato nel 2007 a Costantino Mangeruca, ritenuto esponente della cosca Farao Marincola di Cirò, nell’ambito dell’operazione Piazza Pulita e definitivamente confiscato nel 2012. Il Comune di Melissa, dopo diversi anni, è riuscito ad ottenerne la concessione dall’Agenzia nazionale dei beni confiscati per poter utilizzare il finanziamento concesso dalla Regione Calabria che il 15 maggio 2022 ha approvato, su proposta dell’allora assessore al Turismo, Fausto Orsomarso, una delibera che stanziava 700mila euro per demolire l’ecomostro e realizzarvi un’area camper da 35 posti. Oltre all’immobile di sei mila metri quadrati a Torre Melissa, a Costantino Mangeruca, nel 2007, venne sequestrato un imponente patrimonio immobiliare, valutato oltre 30 milioni di euro, composto da 39 unità immobiliari: nello specifico un altro immobile di 600 metri quadrati a Cornaredo, in provincia di Milano; 23 appartamenti, 9 locali commerciali, 3 magazzini, un garage dislocati tra le province di Crotone, Reggio Calabria e Milano. Tutti riconducibili, direttamente o tramite suoi familiari, a Mangeruca, originario di Africo (Reggio Calabria), residente a Cornaredo (Milano), ma domiciliato da molti anni a Torre Melissa.

Chi è Costantino Mangeruca

Mangeruca, che in passato ha scontato 12 anni di reclusione per un omicidio commesso nel reggino, è ritenuto un elemento di spicco della potente cosca mafiosa denominata ‘locale’ di Cirò, che estende il suo dominio sul territorio a nord della provincia di Crotone fino ai confini con quella di Cosenza; pluripregiudicato per reati contro la persona ed il patrimonio, diffidato e sorvegliato speciale di pubblica sicurezza con divieto di soggiorno in Lombardia; figura di prestigio della consorteria mafiosa della provincia di Crotone, organicamente inserito nella cosca Farao-Marincola di Cirò; contiguo ed in stretti rapporti con figure criminose di spicco delle cosche reggine.

L’operazione Piazza Pulita

La caratura criminale del ‘falegname’ poi diventato mobiliere, ritenuto il trait d’union tra i potenti clan del reggino e del cirotano, è stata evidenziata nell’indagine condotta dall’allora sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Pier Paolo Bruni, attualmente procuratore capo a Santa Maria Capua Vetere, nel casertano, che è poi sfociata nell’operazione Piazza Pulita.

Operazione preceduta da altri importanti blitz e sequestri patrimoniali contro le cosche di Isola Capo Rizzuto e Papanice. Proprio all’indomani di quella massiccia aggressione ai beni dei clan del crotonese, peraltro, il pm Bruni venne ‘attenzionato’ dalla criminalità organizzata che aveva deciso di eliminarlo. Il progetto per attentare alla vita del sostituto procuratore venne rese noto dagli inquirenti proprio nel corso della conferenza stampa convocata per illustrare i dettagli del maxi sequestro di beni a Mangeruca. Il progetto di attentato contro il magistrato crotonese era emerso da alcune intercettazioni ambientali, dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e da una serie di segnali come l’autovettura fatta esplodere con una bomba carta sotto l’abitazione di Bruni, le minacce di un pregiudicato in un locale pubblico e, ancora di più, la colonna di mezzi, con all’interno armi, passamontagna e taniche di benzina, intercettata dai carabinieri sulla strada della frazione Papanice: armi e mezzi che, secondo gli investigatori, dovevano servire appunto per eliminare il magistrato.

Articolo tratto dal Portale di Informazione InfoDifesa

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