Il governo guidato da Mario Draghi sembra essere sul punto di cadere. Il presidente del Consiglio non ha ancora ripresentato le sue dimissioni, ma ci si aspetta che lo faccia nelle prossime ore. Decisiva la scelta di Fi, Lega e M5s di non votare la fiducia al Senato.

di Pasquale Napolitano

Il Governo Draghi è arrivato a fine corsa. Il presidente del Consiglio Mario Draghi dovrebbe annunciare questa mattina all’Aula di Montecitorio la decisione di salire al Colle e rassegnare le dimissioni, questa volta irrevocabili, nelle mani del capo dello Stato, Sergio Mattarella. La svolta arriva dopo il dibattito di mercoledì in Senato e il voto sulla fiducia al governo, che è arrivata ma senza i voti di Lega, M5s e Fi. Un risultato che certifica la fine della maggioranza politica, dal Pd alla Lega, che ha sostenuto l’esecutivo.

Come siamo arrivati fin qui

L’apertura della crisi è avvenuta ufficialmente il 14 luglio scorso in occasione dell’approvazione al Senato del decreto Aiuti, un pacchetto da 20 miliardi di euro per famiglie e imprese. In quell’occasione, il M5s decide di astenersi sul voto di fiducia. Tra le misure contestate dal gruppo presieduto da Giuseppe Conte, c’è la norma che affida al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, i poteri speciali per la costruzione di un termovalorizzatore a Roma. La decisione spinge il presidente del Consiglio Mario Draghi a salire al Colle e rassegnare le sue dimissioni. Il capo dello Stato decide, però, di respingerle e rinvia Draghi alle Camere.

Arriviamo così a mercoledì. La giornata si apre con le comunicazioni del capo dell’esecutivo nell’Aula di Palazzo Madama. Nel suo intervento, Draghi chiede alle forze politiche un “nuovo patto di unità nazionale” per proseguire l’esperienza fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023. Subito arrivano i paletti di Lega e Fi. Il centrodestra di governo dice sì al patto di governo auspicato, ma pone due condizioni: il no al M5s nella compagina di maggioranza e una nuova squadra di ministri. Richieste contenute in una risoluzione depositata da Fi e Lega in Senato.

Dopo la fine della discussione generale e una sospensione di 1 ora e 30 minuti, contestata da Fratelli d’Italia, e mentre si susseguono riunioni e colloqui tra i leader dei partiti e il Presidente della Repubblica Mattarella, Draghi riprende la parola in Senato per replicare. Pronuncia un intervento breve, ma duro. Il premier non accoglie le richieste di Lega e Fi, e chiede di votare la fiducia sull’altra risoluzione presentatadal senatore Pier Ferdinando Casini, che recepisce in toto il suo discorso.

Il Senato conferma la fiducia al governo, approvando la risoluzione sulle comunicazioni presentata da Casini con 95 voti a favore e 38 contrari. I senatori di M5s, Lega e Fi, però, non votano: i pentastellati si dichiarano “presenti non votanti“. È l’atto finale di una lunga crisi politica, che provoca uno scossone anche all’interno di Forza Italia. La ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini annuncia l’addio al partito di Silvio Berlusconi.

La palla in mano al Presidente Mattarella

Nella giornata di oggi, giovedì 21 luglio, Draghi sarà alla Camera. Per andare avanti, il suo governo dovrebbe ottenere anche la fiducia di questo ramo del Parlamento. Salvo colpi di scena, non ci sarà però nessun voto. A fronte del risultato ottenuto in Senato, ci si aspetta che il presidente del Consiglio ripresenti le sue dimissioni. Potrebbe farlo già in mattinata, annunciandole alla Camera prima di formalizzarle nelle mani del capo dello Stato.

A questo punto, si aprono varie strade. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella potrebbe accettare le dimissioni e reincaricare Draghi per sondare tra le forze politiche una nuova maggioranza. Un’altra ipotesi è l’avvio di consultazioni da parte del capo dello Stato per formare una nuova maggioranza politica e individuare una personalità per la poltrona di presidente del Consiglio. Terza ipotesi è la nascita di un governo di scopo per varare la legge di bilancio, ma ci potrebbe anche essere un voto anticipato. L’ipotesi al momento più concreta è lo scioglimento delle Camere nei prossimi giorni, con la convocazione delle elezioni anticipate nella prima settimana di ottobre.

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