Nel tribunale militare di Roma è iniziato il processo a Walter Biot, capitano di fregata della Marina militare italiana accusato di spionaggio per aver ceduto, in cambio di denaro, documenti riservati a un militare russo di stanza all’ambasciata di Roma. Biot, che è detenuto nel carcere militare di Gaeta, era stato arrestato in flagranza di reato il 30 marzo 2021 mentre, in un grande parcheggio del quartiere romano di Spinaceto, stava consegnando una scheda di memoria a un ufficiale delle forze armate russe, Dmitrij Ostroukhov. La scheda era contenuta in una scatola di medicine. Allo stesso modo, in una confezione di farmaci, il militare russo aveva consegnato a Biot 5mila euro.
Biot è imputato in due processi: uno è quello celebrato dalla magistratura militare, che ha competenza sui reati militari commessi dai membri delle forze armate. Tra un paio di settimane ci sarà un’altra udienza davanti alla Corte d’assise del tribunale ordinario. Gli avvocati difensori di Biot, Roberto De Vita e Antonio Laudisa, hanno sollevato il problema del conflitto tra giurisdizione militare e civile: tutti gli atti sono stati trasmessi ora alla Corte di Cassazione che dovrà decidere sul conflitto di giurisdizione. In pratica, dovrà stabilire a chi spetta processare Walter Biot.
L’ufficiale italiano è accusato dalla procura ordinaria di spionaggio, rivelazione di segreto di Stato e corruzione. I pubblici ministeri militari contestano i reati di procacciamento di notizie segrete a scopo di spionaggio, procacciamento e rivelazione di notizie di carattere riservato, esecuzione di fotografie a scopo di spionaggio e comunicazione all’estero di notizie non segrete né riservate. Secondo la difesa, si tratta di due processi sovrapponibili, e quindi «secondo il principio del ne bis in idem (non due volte per la medesima cosa) non ci possono essere due processi per lo stesso fatto e che riguardano lo stesso soggetto, con il rischio poi che ci siano due condanne uguali», spiega l’avvocato Roberto De Vita. La Cassazione deve decidere «se i documenti sequestrati e finora secretati riguardino un segreto più ampio che mette in pericolo la sicurezza nazionale, e quindi di competenza della giustizia ordinaria, o se prevalga invece la norma che stabilisce che a giudicare di un militare imputato di reato sia la giustizia militare».
Intanto però il tribunale militare ha disposto l’acquisizione di tutto il materiale che la procura, formulando le accuse, aveva indicato come corpo del reato e che non era mai stato messo a disposizione della difesa perché classificato come segreto. Si tratta della scheda di memoria, del telefono cellulare e di tutti gli altri dispositivi elettronici sequestrati all’imputato. Il tribunale ha stabilito ora l’acquisizione dei verbali del materiale considerato come prova, perché tutto ciò che viene utilizzato dall’accusa per contestare il reato deve essere messo a disposizione del Giudice e delle parti se non viene opposto il segreto di Stato. «Queste prove quindi noi dobbiamo esaminarle, dobbiamo poter effettuare perizie altrimenti si viola un fondamentale principio di diritto», dice De Vita.
La vicenda di Walter Biot suscitò, un anno fa, molto allarme nei vertici militari e nei servizi segreti italiani. Per Biot era stato molto semplice impadronirsi di materiale riservato cedendolo poi a un agente straniero. Con l’invasione dell’Ucraina e i mutati rapporti tra Russia e Italia si sono aggiunte nuove preoccupazioni.
Nell’ordinanza di convalida dell’arresto, la giudice per le indagini preliminari Antonella Minunni aveva parlato di «spessore criminale dell’indagato che non si è posto alcuno scrupolo nel tradire la fiducia dell’istituzione di appartenenza al solo fine di conseguire profitti di natura economica». La gip sottolineava poi «le accurate modalità nell’agire, con l’inserimento della scheda di memoria all’interno del bugiardino dei medicinali così come il fatto che nei telefoni cellulari in suo possesso non emergono appuntamenti o contatti con l’agente russo».
Sempre il gip aveva definito allarmante il fatto che Biot si fosse occupato, «nell’ambito del suo incarico, di proiezione degli assetti italiani della Difesa in teatri operativi esteri e anche di operazioni Nato, Ue e Onu». Il tribunale della libertà, che respinse la richiesta di scarcerazione presentata dagli avvocati difensori, scrisse di «attività lesiva della sicurezza nazionale». Sempre il tribunale della libertà spiegò che Biot era in possesso del Nulla osta di segretezza (Nos) «più elevato previsto» e che le notizie vendute «rientravano tra quelle classificate “Nato Secret” e “Nato Confidential” e “Riservatissime”».
Quando venne arrestato con l’accusa di spionaggio militare, Biot era in servizio al III Reparto, l’ufficio Politica militare e pianificazione dello Stato maggiore della Difesa. Uno degli scopi dell’ufficio, come spiega lo stesso ministero della Difesa sul suo sito, è «individuare e sottoporre al capo al capo di Stato maggiore della Difesa le problematiche tecnico-militari, e la relative soluzioni, in materia di politica di sicurezza e difesa nazionale».
Tra i compiti ci sono anche quelli di «promuovere le iniziative necessarie all’avvio delle attività di cooperazione tecnico-militare internazionale, predisporre i relativi provvedimenti attuativi e supervisionare le attività discendenti; elaborare gli indirizzi generali e la normativa in tema di difesa civile e cooperazione civile-militare nell’ambito della difesa nazionale». Biot, insomma, aveva accesso a materiale importante e delicato.
Da ufficiale della Marina militare, Walter Biot era stato a lungo imbarcato su cacciatorpediniere e sulla portaerei Garibaldi. Era un “guida caccia”, cioè l’ufficiale addetto alla guida dei caccia intercettori. Nel 2008 passò allo Stato maggiore della Marina militare, all’ufficio stampa. Dal dicembre 2010 all’agosto 2015 lavorò nella sezione internazionale della Pubblica informazione del ministero della Difesa. Era stato, in passato, anche membro della Commissione esaminatrice del concorso per allievi marescialli della Marina militare. Era all’ufficio Politica militare e pianificazione dal 2015.
Fu l’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna, e cioè i servizi segreti, ad avviare l’indagine su Biot. Non è stato rivelato se questo avvenne in seguito a sospetti nati proprio nell’ufficio Politico o, magari, dopo un’informazione proveniente dalla parte russa. Fatto sta che l’ufficiale venne messo sotto controllo, seguito in ogni suo spostamento. Fu filmato, attraverso videocamere nascoste, mentre il 18, il 23 e il 25 marzo 2021 fotografava documenti riservati sul monitor del suo computer.
L’Aisi aveva precedentemente coinvolto il Ros, Reparto operativo dei carabinieri, che, controllando gli spostamenti di Biot, aveva scoperto gli appuntamenti che avvenivano in un grande parcheggio del quartiere Spinaceto, non lontano da un supermercato Carrefour, tra lo stesso Biot e un’altra persona. Quest’ultima, individuata poi come Ostroukhov, arrivava all’appuntamento con i mezzi pubblici: scendeva dalla metropolitana all’Eur per poi prendere un autobus. Indossava sempre un cappellino blu con visiera. L’agente russo precedeva Biot e controllava che nel parcheggio non ci fossero presenze sospette. Poi arrivava Biot a bordo della sua auto. Il giorno dell’arresto aveva usato un’altra auto, e non la solita su cui erano installati i sistemi di registrazione. Per questo i carabinieri del Ros decisero di intervenire.
Subito dopo l’arresto, Ostroukhov fece valere la sua immunità diplomatica. Due giorni dopo venne espulso dall’Italia assieme al suo diretto superiore, Aleksej Nemudrov, capo dell’ufficio militare a Roma, in passato alto ufficiale della Marina russa. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio convocò l’ambasciatore russo Sergey Razov.
Scrisse poi Di Maio sul suo profilo Facebook:
«In occasione della convocazione al ministero dell’ambasciatore russo in Italia abbiamo trasmesso a quest’ultimo la ferma protesta del governo italiano e notificato l’immediata espulsione dei due funzionari russi coinvolti in questa gravissima vicenda. Ringrazio la nostra intelligence e tutti gli apparati dello Stato che ogni giorno lavorano per la sicurezza del nostro paese».
In un’intervista al Corriere della Sera la moglie di Biot, la psicologa Claudia Carbonara, sostenne che suo marito non aveva nessuna intenzione di «fregare il suo paese», ma che aveva dato ai russi solo il minimo che poteva dare. Carbonara spiegò che suo marito era disperato e preoccupato per il futuro dei quattro figli, «Aveva paura di non riuscire più a fronteggiare le tante spese che abbiamo. L’economia di casa. A causa del Covid ci siamo impoveriti».
Molti commentatori hanno valutato che la cifra pagata dai russi fosse troppo bassa perché si trattasse di materiale realmente importante. Il Corriere della Sera scrisse però che Biot, in passato, aveva trasmesso, oltre che documenti italiani, anche materiale dalla Nato mettendo quindi a rischio non soltanto la sicurezza dell’Italia ma anche quella di altri paesi. In realtà non è stato rivelato quali fossero i documenti, finora tenuti segreti, passati da Biot ai russi.
Sulla richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura ordinaria era scritto che Biot doveva essere processato perché «si era procurato quale capitano di fregata della Marina militare in servizio presso lo Stato maggiore della Difesa, a scopo di spionaggio politico, notizie che nell’interesse della sicurezza dello Stato dovevano rimanere segrete e per aver rivelato tali notizie ad un agente diplomatico russo dietro compenso». I pubblici ministeri militari parlarono a loro volta di cessione di «notizie concernenti la forza, la preparazione e la difesa militare dello Stato, classificate segrete o riservate».
Ora bisognerà aspettare il pronunciamento della Corte di Cassazione. La situazione internazionale, con la forte tensione tra Unione Europea e Russia, danno al processo a Biot un’ulteriore importanza. Se l’ufficiale dovesse essere ritenuto colpevole dalla giustizia ordinaria del reato previsto dall’articolo 257 del Codice penale relativo allo spionaggio politico o militare rischia una pena non inferiore ai 15 anni. Se il fatto, come recita l’articolo del codice, «è commesso nell’interesse di uno Stato in guerra con lo Stato italiano o se il fatto ha compromesso la preparazione o l’efficienza bellica dello Stato, ovvero le operazioni militari», la pena prevista è l’ergastolo.
Articolo tratto dal Portale di Informazione InfoDifesa