Due specie di animali, risalenti a circa 52 milioni di anni fa, sono state identificate dai ricercatori dell’università del Kansas come le specie più antiche ad aver abitato il Nord del Circolo polare Artico. Rispetto a specie simili provenienti da località più meridionali, questi animali presentano adattamenti specifici per l’ambiente in cui sono vissuti.

Nel clima caldo del Canada preistorico, i primi parenti dei primati si sono adattati alla vita nell’alto Artico, anche se con una biodiversità limitata. Lo suggerisce uno studio, pubblicato sulla rivista Plos One, condotto dagli scienziati dell’università del Kansas. Il team, guidato da Kristen Miller, ha esaminato i fossili dell’isola di Ellesmere, in Canada, che forniscono la prova di un ambiente temperato, simile a una palude.

Identificate due nuove specie

L’Eocene, la seconda epoca geologica del periodo Paleogene che va dai 55,6 ai 33,9 milioni di anni fa, è stato un periodo di intenso riscaldamento globale, per cui potrebbe rappresentare un caso di studio cruciale per valutare in che modo gli ecosistemi possano reagire ai cambiamenti climatici. I ricercatori hanno identificato due nuove specie, considerate i primi parenti dei primati rinvenuti nell’antico ecosistema artico.

Gli scienziati hanno analizzato frammenti fossili di denti e mascelle, scoprendo due lignaggi chiamati Ignacius dawsonae e Ignacius mckennai. Rispetto a specie simili provenienti da località più meridionali, questi animali presentano adattamenti specifici per l’ambiente in cui sono vissuti. Entrambi i fossili appartenevano a esemplari relativamente grandi e l’analisi dei denti suggerisce che seguissero un’alimentazione a base di cibi duri.

Gli esperti ipotizzano che negli inverni artici e rigidi poteva essere piuttosto complicato riuscire a nutrirsi con cibi più morbidi. Durante l’Eocene, le latitudini più basse del Nord America ospitavano molti dei parenti più antichi dei primati, ma nell’ecosistema artico analizzato queste due specie rappresentano un unicum, il che conferma l’ipotesi che la regione ospitasse una biodiversità limitata rispetto agli habitat più meridionali.

Gli effetti del riscaldamento climatico

I ricercatori aggiungono che il riscaldamento climatico ha spinto diverse specie a migrare verso nord, ma questo movimento potrebbe essere ostacolato da fattori ambientali tipici delle zone artiche, come i lunghi periodi di oscurità. Questi risultati, commentano gli studiosi, potrebbero rivelarsi fondamentali per l’elaborazione di modelli previsionali relativi a come gli ecosistemi potrebbero reagire ai moderni cambiamenti climatici. “Il riscaldamento delle temperature medie globali”, concludono gli autori, “sta trasformando gli ecosistemi artici in modi difficili da prevedere, ma antichi episodi di riscaldamento globale mostrano come potrebbero svolgersi le transizioni dell’Artico. I primi fossili correlati ai primati mostrano che questi mammiferi adattati ai tropici sono stati in grado di colonizzare le regioni polari circa 52 milioni di anni fa, adottando un’alimentazione a base di noci e semi che ha permesso loro di sopravvivere nei lunghi mesi di oscurità invernale”.

Fonte Agi

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