Paola Turci non ha mai voluto commentare le foto pubblicate da “Oggi” che la ritraevano mentre si scambiava tenerezze in barca con Francesca Pascale nell’estate del 2020. “Mi hanno sempre dato della lesbica, non l’ho mai considerato un insulto – dice adesso sulle pagine dello stesso settimanale – A intenderla come offensiva sono solo gli omofobi o le persone profondamente ignoranti… Avrei potuto mangiarci su quel pettegolezzo, invece ho rifiutato copertine, soldi. Il mio silenzio ha comunicato che non è necessario dire quello che sei. La riservatezza è un valore. E se la sessualità non ha limiti, non è detto che non debba averne la comunicazione della sessualità: raccontare quel che ti piace ti mette in una casella, e per fortuna oggi non c’è più bisogno di sceglierne una”.
La fede, l’eutanasia, il divorzio
Nell’intervista rilasciata a “Oggi”, la cantante parla anche del suo rapporto con la fede: “Sono credente, ma sono anche convinta che il libero arbitrio non possa essere à la carte: o c’è o non c’è”. E dell’eutanasia legale dice: “Quando non c’è più niente da fare, soffri le pene dell’inferno, e vuoi morire, forse anche Dio vuole che tu smetta di soffrire”. La 57enne ricorda inoltre l’esperienza personale che l’ha fatta rivedere certe convinzioni personali: “Mi sono sposata in chiesa, volevo fosse un sacramento. Quando mi sono accorta che il matrimonio non funzionava, ho pensato ‘non posso divorziare, devo rassegnarmi’. Ma stavo sempre peggio. Finché non ho pensato che non fosse possibile che Dio o chi per lui mi volesse così triste, lontana da ogni possibile felicità. E ho divorziato”.
L’incidente in cui ha rischiato la vita
Nel 1993 Paola Turci ha rischiato la vita in un terribile incidente stradale che racconta con dovizia di dettagli nella sua autobiografia dal titolo “Mi amerò lo stesso”. Quell’episodio le ha lasciato delle cicatrici nel corpo e nell’anima ma ha segnato l’inizio di un nuovo corso della sua vita. “La mia vita è finita ed è ricominciata il 15 agosto del 1993 sulla Salerno-Reggio Calabria – ha scritto nel libro – Mi trovai costretta a guidare l’auto durante una tournée. Ero furibonda. Mi chino per spingere nel portasigari il cavo del caricabatteria del telefono e mi rendo conto di aver oltrepassato il guardrail. Il tachimetro segna centoventi chilometri all’ora. Sterzo verso destra, ma il volante è di burro: in un attimo sono nella corsia di emergenza. Ho forse meno di un secondo per rendermi conto che da questo lato non c’è alcuna protezione. Abbastanza per pensare: ‘Rischio di finire nel fosso e, se ci finisco dentro, non arriverò mai a Salerno’. Controsterzo a sinistra. Se vado a sbattere da questa parte, infatti, è meglio, perché ammaccherò la macchina contro il guardrail, ma almeno potrò continuare il viaggio”.
“Sentivo il sangue scorrere sul mio viso”
“No ABS, no airbag, no cintura di sicurezza – ha proseguito – La macchina sta rallentando: sono sicura di fermarmi non appena tocco la barriera. Chiudo gli occhi. Una randellata all’altezza del sopracciglio destro, lo schianto del cofano che si accartoccia, il fracasso del parabrezza che si frantuma. Tengo le mani fisse sul volante: sono magra, mi sento fisicamente in grado di sopportare le botte e assecondare ogni movimento dell’auto. Prendo un sacco di colpi in ogni parte del corpo, ma sono invincibile. Lo stridio continuo del metallo che ha agganciato la fiancata mi assorda. Non so quanto tempo duri. Il rumore del botto scema. L’auto adesso è ferma. Dio, sento caldo. Sento freddo. Sento zampilli di sangue scorrere sul mio viso, continui e regolari. Mi sembra di essere una doccia da cui esce acqua. La bocca è piena di detriti: ‘Ca**o, i denti’. Passo la lingua sulle due arcate, ma per fortuna li ritrovo tutti al loro posto”.
“Ho sputato i vetri uno per uno”
“Ho la bocca piena di vetri. No non sta succedendo a me – ha concluso – Io sto solo assistendo a una tragedia, la vivo addosso. Tengo le mani immobili. Sputo i vetri uno per uno, con molta cautela. Ne sento uno conficcato in gola. ‘Stai calma, Paola’ mi dico. Questo è il momento peggiore. ‘No, Paola, non devi vomitare.’ Sono una fontanella, una pioggia torrenziale di sangue e ho il terrore di mettermi a vomitare. Se non associassi il vomito alla morte, forse scoppierei a ridere. Tossisco e riesco a sputare il vetro. Ora c’è silenzio, sento le cicale frinire. ‘Cosa mi sta succedendo?’”. Alla paura della morte, mancata per un attimo, seguono la riabilitazione, le cicatrici, il terrore di guardarsi allo specchio, le sedute dall’analista. Fino all’equilibrio ritrovato.