L’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, si è dimesso dal Consiglio di amministrazione di Telecom Italia, in cui sedeva dal 2015. La società francese è il primo azionista dell’ex monopolista italiano e sta trattando con il governo sul futuro di Tim.
L’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, si è dimesso “con effetto immediato” dal Consiglio di amministrazione di Telecom Italia in cui sedeva dal 2015. È quanto si apprende da fonti vicine alla società francese che confermano quanto anticipato dal Sole 24 Ore. La notizia è stata confermata da Tim con un comunicato ufficiale. Il titolo della società è salito di oltre il 2% in Borsa dopo la notizia.
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Discontinuità nella governance
Le dimissioni di de Puyfontaine sarebbero dettate dalla volontà di ricercare “una discontinuità nella governance” e nello specifico nel mirino finirebbe soprattutto il ruolo svolto dal presidente Salvatore Rossi. Vivendi intende “rimarcare il ruolo di azionista di maggioranza” di Tim e fare emergere “ruoli più netti e separati” in modo “che sia più facile riuscire a confrontarsi con il governo e gli altri azionisti di Tim“. Lo Stato è il secondo azionista di Tim: Cassa depositi e prestiti ha quasi il 10% dell’ex monopolista.
Vivendi: “Massima fiducia nel governo italiano”
Fonti vicine al colosso francese dei media hanno confermato che l’investimento nella compagnia telefonica italiana “è di lungo periodo”. Vivendi, primo azionista di Tim, esprime inoltre “la massima fiducia nel governo italiano“. Secondo il comunicato ufficiale della compagnia telefonica, de Puyfontaine “ritiene opportuno dedicarsi, come Chief executive officer di Vivendi, a ristabilire per Tim un percorso di crescita e ad assicurare che il valore reale del gruppo e della rete, nella sua unicità, siano correttamente riconosciuti“. “Da ultimo il consigliere ha confermato che Tim e l’Italia restano centrali nei piani di investimento di Vivendi“, specifica la nota di Telecom aggiungendo che de Puyfontaine non ha azioni ordinarie di Tim.
Le puntate precedenti
Tim ha due grossi problemi: il debito che al 30 settembre superava i 25 miliardi di euro e il fatto di gestire sia un’infrastruttura di rete che una compagnia di servizi telefonici (concorrente anche delle low cost). Smembrare queste due parti era l’obiettivo dell’amministratore delegato Pietro Labriola. Si poteva farlo vendendo l’infrastruttura a Open Fiber: una mossa che avrebbe ridotto il debito e alleggerito il monte stipendi (Tim conta oltre 42.000 dipendenti in Italia, 9.600 in Brasile). Questa era la strategia dietro la cosiddetta “rete unica”. Ma lo Stato ha azioni sia di Tim (quasi il 10%) che di Open Fiber, controllata al 60% da Cassa depositi e prestiti. Con il governo Meloni, sono cambiate le priorità. E il futuro è tornato a essere un enigma.
Fonte Agi