Il tre volte campione del mondo si è spento a 82 anni: una carriera di successi, di gol a grappoli, ma anche una capacità speciale di diventare il primo calciatore nel senso “moderno” del termine.

Il 29 dicembre, a 82 anni, è morto Pelé, leggenda della Nazionale brasiliana e del Santos, uno degli attaccanti più prolifici di tutti i tempi, per molti aspetti il primo fenomeno globale del calcio.

Un’epica costruita ai Mondiali

Pelé è considerato lo sportivo dei record. In carriera ha vinto ben tre Coppe del mondo. Basta questo dato per spiegare l’alone leggendario che circonda l’attaccante brasiliano. L’uomo che è riuscito, prima di tutti, a riscrivere l’andamento della storia del calcio. Pelé ha vinto il Mondiale nel 1958, nel 1962 e nel 1970, giocando quattordici partite e segnando dodici reti (di cui tre in due finali).

Il debutto di Pelé

Pelé debutto nel Mondiale di Svezia, nel 1958, quando ancora non era diciottenne: era il giocatore più giovane del torneo e fu un’autentica rivelazione. La prima rete arrivò contro il Galles, mentre in semifinale, contro la Francia, realizzò addirittura una tripletta. In finale, contro i padroni di casa della Svezia, il Brasile vinse per 5-2, e Pelé segnò una doppietta: il primo gol fu uno dei più celebrati della sua intera carriera, un elegante pallonetto per liberarsi di un avversario e tiro di destro al volo.

Già giovanissimo, Pelé era diventato un’assoluta icona del calcio brasiliano, che quattro anni dopo festeggiò la vittoria del secondo Mondiale. Stavolta, però, O Rey non diede un grande contributo alla causa, visto l’infortunio nella seconda gara contro la Cecoslovacchia, che gli impedì di scendere nuovamente in campo nel corso del torneo. Problemi fisici che lo tormentarono anche nel 1966, complici alcune entrate dure dei difensori avversari. “Il Mondiale del 1966 fu l’esperienza più dura che abbia mai avuto nel calcio”, ha detto Pelé in un’intervista con Fifa.com. “Conclusi quel torneo con la convinzione di non giocare mai più per il Brasile. L’unica ragione che mi spinse a fare dietrofront, nel 1970, fu il fatto di essere in una forma strepitosa. Ma le cicatrici del 1966 furono davvero tremende”.

Il gol contro l’Italia al mondiale del 1970

Nel 1970, appunto, un quasi trentenne Pelé si riprese lo scettro del mondo: in Messico, il brasiliano segnò quattro gol, ma fu quello realizzato in finale, contro l’Italia, a essere ricordato come uno dei più iconici della storia dei Mondiali: quell’imperioso stacco di testa, per battere Albertosi dopo aver sovrastato Burgnich. Che del brasiliano disse: “Il più grande di tutti. Era completo: destro, sinistro, testa. Faceva gol in qualsiasi modo. E poi aveva uno scatto bruciante e un dribbling micidiale. Mai visto uno così”.

La lunga, e incerta, lista di gol

Per tutta la carriera, tranne la coda finale negli States, Pelé ha giocato nel Santos, dove era arrivato giovanissimo, a 15 anni. Con il club brasiliano, ha praticamente vinto tutto, tra cui due Libertadores, sei campionati brasiliani e dieci campionati Paulista. Negli anni di attività, dal 1957 al 1977, Pelé ha segnato un numero altissimo di gol, che ha assunto perfino i contorni di una leggenda: se in incontri ufficiali gli viene riconosciuto il numero di 757 reti realizzate, terzo di sempre dopo Cristiano Ronaldo e Messi, altre statistiche parlano di oltre mille reti. La Fifa, per esempio, gliene ha riconosciute 1.281.

Questa discrepanza nasce per via della difficoltà di reperire adeguate informazioni sul suo rendimento totale in carriera, e per la “non ufficialità” di molte delle gare in cui Pelé era andato a segno: amichevoli, piuttosto che partite ufficiali.

I record di Pelé

Anche questo dibattito, in qualche modo, ha aggiunto contorni strabilianti intorno alla figura di Pelé. Che comunque, senza tema di smentita, ha raccolto alcuni primati davvero importanti: è il giocatore che ha segnato di più nella storia della Nazionale brasiliana con 77 gol (anche se Neymar potrebbe superarlo), come pure per il Santos (643 gol), il recordman di triplette nella storia (92), il più giovane vincitore di un Mondiale (come detto, nel 1958, all’età di 17 anni e 249 giorni) e il giocatore più giovane ad aver segnato in un Mondiale (17 anni e 239 giorni).

Fenomeno in campo, fenomeno fuori

Tutto questo ha permesso a Pelé di raccogliere riconoscimenti unici: è stato nominato “Calciatore del secolo” dalla Fifa e nel 2014 gli è stato assegnato un Pallone d’Oro “ad honorem” (considerato che, fino al 1995, il premio era riservato ai soli calciatori europei). Al di là degli aspetti tecnici, Pelé è stato anche un fenomeno extra-campo: per esempio, il magazine Time lo ha inserito tra le cento icone del Ventesimo secolo. Per certi, versi è stato il primo calciatore moderno: è stato corteggiato lungamente dagli sponsor, ben prima che i contratti commerciali fioccassero sulle scrivanie dei calciatori, come ha dimostrato la partnership con Puma, che addirittura lo invitò ad allacciarsi le scarpe in campo per rendere evidente quello che il brasiliano indossava ai piedi.

A fine carriera, dopo una vita spesa nel Santos, nel 1975 Pelé accettò l’offerta dei New York Cosmos e sbarcò negli Stati Uniti: il club era di proprietà della Warner, che ingaggiò il brasiliano (come fece poi con altre stelle del calcio europeo) per promuovere la popolarità del calcio negli Usa. Facile intuire che si trattò di uno dei primi casi di calciatore-ambassador di un movimento intero, una sorta di anticipazione dei tempi più recenti in cui alcuni calciatori più forti del pianeta decidono di fare esperienze in campionati meno competitivi ma con opportunità commerciali più ampie.

Oltre il calcio: attore per John Huston

La popolarità di Pelé era tale che nel 1981 recitò in Fuga per la vittoria, un film di John Huston che vide la partecipazione di alcuni campioni del calcio. Il brasiliano si era già ritirato, ma nessuno meglio di lui incarnava al meglio la sovrapposizione tra gioco e spettacolo: memorabile, nella pellicola, la rovesciata esibita nel match organizzato nel campo di prigionia.

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