In Italia il dibattito sul salario minimo spacca in due il mondo della politica, mentre l’Unione Europea sembra essere a un passo dall’accordo per una nuova direttiva sul tema. Sono 21 su 27 i Paesi che hanno già introdotto leggi su una soglia di retribuzione minima garantita. Facciamo il punto.

È attesa nei prossimi giorni la nuova direttiva dell’Unione europea sul salario minimo. L’accordo tra le istituzioni europee, che potrebbe arrivare nella notte tra lunedì 6 e martedì 7 giugno, punterà a istituire un quadro per fissare compensi adeguati ed equi nel rispetto delle diverse impostazioni nazionali dei Paesi membri. Mentre in Germania, il 3 giugno, il parlamento tedesco ha scelto di aumentare il salario minimo a 12 euro l’ora a partire dal primo ottobre, in Italia l’argomento continua a dividere e il ddl Catalfo è ancora fermo al Senato, anche se recentemente si è riaperta la discussione sul tema. La direttiva europea potrebbe contribuire a sbloccare la situazione?

Cos’è il salario minimo e la situazione in Italia oggi

Quando si parla di “salario minimo” s’intende la retribuzione minima, su base oraria o mensile, che uno Stato per legge garantisce ai lavoratori. Si tratta di un provvedimento che tutela chi, pur lavorando, si trova in condizioni di indigenza. In Italia il salario minimo non è attualmente previsto, anche se esiste un fondamento costituzionale che potrebbe giustificarne l’introduzione. L’articolo 36 della Costituzione infatti recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, sancendo così il diritto a una retribuzione adeguata.

L’assenza di questa tutela è dovuta in buona parte alla prevalenza in Italia della contrattazione collettiva e quindi alla tendenza a gestire i salari in maniera diversa a seconda del settore. A eccezione di alcune categorie, infatti, gli accordi e i vincoli contrattuali che definiscono gli aspetti retributivi, le regole da applicare ai singoli rapporti di lavoro, e quelle che invece disciplinano i rapporti tra le parti collettive vengono stipulati direttamente tra sindacati dei lavoratori e organizzazioni dei datori di lavoro.

Soltanto in casi particolari il governo interviene come promotore o arbitro. Per cercare di colmare questo vuoto normativo, la commissione Lavoro del Senato ha avviato l’esame congiunto di quattro disegni di legge tra quelli presentati in precedenza. Al momento, in discussione è il progetto dell’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo (M5s). Il ddl prevede una retribuzione non inferiore al contratto collettivo nazionale previsto per il settore in questione o comunque non inferiore ai 9 euro l’ora. Secondo i dati Inps, questo livello al momento non è garantito a circa 4,5 milioni di lavoratori.

La direttiva europea

Nonostante la discussione sulla direttiva europea abbia riaperto il dibattito politico sul tema, le tre istituzioni comunitarie (Commissione, Parlamento e Consiglio Ue) hanno sottolineato che questa non fisserà un salario minimo comune per tutti o l’obbligo di introdurlo. Istituirà piuttosto “un quadro per fissare salari minimi adeguati ed equi” nel rispetto dei diversi sistemi del lavoro e dell’assistenza dei 27 Paesi membri per garantire “un tenore di vita dignitoso”, ridurre le disuguaglianze e mettere un freno ai contratti precari e pirata. 

Nel dettaglio, il Parlamento europeo vuole rafforzare ed estendere la copertura della contrattazione collettiva, obbligando i Paesi Ue con meno dell’80% dei lavoratori coperti da accordi specifici a prendere misure efficaci per promuovere questo strumento. “Non possiamo ignorare che molti lavoratori stanno soffrendo per il caro-vita“, ha evidenziato il commissario Ue al lavoro Nicolas Schmit, invitando a “un approccio equilibrato”. 

Favorevoli e contrari al salario minimo in Italia

In Italia non tutti sono d’accordo sulla riforma, che che gode dell’appoggio di centrosinistra e Movimento 5 stelle, mentre il centrodestra ha espresso la sua contrarietà.

L’europarlamentare pentastellata Daniela Rondinelli, tra i favorevoli, ha dichiarato che la direttiva europea sul salario minimo sarebbe una “rivoluzione copernicana” e rappresenterebbe “l’occasione per l’Italia di dare risposte concrete alla povertà lavorativa e riformare il sistema di contrattazione collettiva, impedendo i contratti pirata che generano dumping nel mercato del lavoro. I salari bassi non solo compromettono il potere di acquisto dei lavoratori, ma incidono anche negativamente sulla capacità di crescita della nostra economia”.

Parere positivo è stato espresso anche dal segretario del Pd Enrico Letta: “Per noi la questione salariale è fondamentale e accanto a questo c’è ovviamente l’impegno ad arrivare al salario minimo, come fanno in Germania e come fanno in Australia, Paesi che sono simili al nostro e che hanno fatto una scelta che anche noi dovremmo fare”. 

“Il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazioni industriali”, ha invece detto dal palco del Festival dell’Economia di Trento il ministro per la Pubblica amministrazione ed esponente di Forza Italia, Renato Brunetta. “Il salario non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività”, ha detto. Di diversa opinione il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che dal palco di un altro Festival dell’Economia, a Torino, ha risposto indirettamente a Brunetta: “Se ben studiato è una buona cosa, ci sono vari effetti positivi. Non bisogna legare il salario minimo ad automatismi che possono costare”.

La situazione nei 27 Stati membri

Dei 27 Stati membri dell’Ue, sono 21 i Paesi che hanno previsto una legge sul salario minimo. Oltre all’Italia, restano escluse la Svezia, l’Austria, la Danimarca, la Finlandia e Cipro, dove questo tipo ti tutela esiste solo per certe categorie di lavoratori.

Basandosi su una settimana lavorativa di 39 ore, Eurostat ha confrontato i salari minimi dei diversi Paesi. Il Lussemburgo è il Paese dove il salario minimo è più alto: i lavoratori ricevono infatti in busta paga una mensilità minima di 2.257 euro. A questo seguono l’Irlanda (1.775 euro), i Paesi Bassi (1.725 euro), il Belgio (1.658 euro), la Germania (1.621 euro) e la Francia (1.603 euro). Il Paese che invece si posiziona sul gradino più basso, pur rimanendo tra quelli che garantiscono la retribuzione minima, è invece la Bulgaria, che prevede un minimo salariale di 650 lev (equivalente a circa 332 euro al mese).

Il calcolo del salario minimo è stato fatto nei Paesi che hanno deciso di legiferare in materia basandosi su una serie di parametri, che vanno dalla produttività del Paese, al Pil, dall’indice dei prezzi al consumo all’andamento generale dell’economia. Periodicamente va fatta una rivalutazione così da riuscire a mantenere il potere di acquisto dei salari stabile nel tempo. In alcuni casi, come in Lussemburgo o in Belgio, l’indicizzazione è legata all’inflazione o, come in Olanda, ai salari. In altri invece, come ad esempio Irlanda, Germania e Regno Unito, esiste una commissione indipendente preposta alla valutazione dell’incremento del minimo salariale.

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