“SALVINI SCELGA SE STA CON DRAGHI E LE IMPRESE O CON BORGHI”  – LAURA DALLA VECCHIA, PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA VICENZA, SUONA LA SVEGLIA AL TRUCE DEL PAPEETE IMPANTANATO IN UNA MEDIAZIONE TRA I GOVERNISTI E GLI OLTRANZISTI ALLA BORGHI – UNA LOTTA INTESTINA CHE STA ERODENDO L’ELETTORATO DELLA LEGA. SORGI: “AGITARE TEMI COME L’IMMIGRAZIONE FUNZIONA MENO. LA LUNGA PARENTESI DEL COVID HA CAMBIATO LA SCALA DEI VALORI DEGLI ELETTORI, COME DIMOSTRA LA LARGA ADESIONE AI VACCINI E AL GREEN PASS. COSÌ IL MOMENTO MAGICO DI SALVINI SEMBRA PASSATO, E IL SUO DECLINO RICORDA…”

“SALVINI SCELGA: O NOI O BORGHI”

Luca Roberto per “Il Foglio”

 

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“Salvini deve avere più coraggio. Scegliere una volta per tutte se sta dalla parte di Draghi, che sta rappresentando bene il mondo delle imprese. O se invece preferisce continuare ad avere quell’atteggiamento ipocrita su vaccini e green pass. Non

sono più tollerabili posizioni così discordanti”. Laura Dalla Vecchia dal maggio scorso è la presidente di Confindustria

 

Vicenza, un crogiolo industriale unico nel nostro paese. Oltre 1.600 aziende associate, 85 mila dipendenti, import export con i principali mercati europei, Germania e Francia sopra tutti. A queste latitudini, nelle lande dei capannoni e delle officine in cui è storicamente radicato l’elettorato leghista, di battaglie identitarie non vogliono sentir parlare. Figurarsi stare appresso alle resistenze ideologiche cavalcate dalla combriccola di Claudio Borghi.

matteo salvini claudio borghi matteo salvini claudio borghi

 

“A chi ha posizioni così oltranziste consiglierei di farsi un giro nelle nostre aziende, per capire davvero di cosa parla”, dice al

Foglio. “In questa fase stiamo osservando una crescita imponente. In termini occupazionali siamo tornati all’epoca pre Covid, anzi rispetto al 2019 abbiamo registrato un più 6 per cento di assunti. C’è una grande fiducia nell’aria”, racconta dati alla mano

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l’imprenditrice vicentina. Che a Schio è titolare della Polidoro: produce bruciatori per caldaie, ha 400 addetti, filiali in Turchia e in Cina. “E’ naturale che l’estensione del certificato verde e l’avvicinamento all’obbligo vaccinale ci piacciano: sono scelte intelligenti. Non possiamo permetterci di tornare indietro, come se più di 100 mila morti fossero stati invano. Lo facciamo principalmente per una questione di sicurezza, non per rincorrere il dio fatturato a ogni costo”.

 

Eppure nel governo non tutti sono dello stesso avviso. La Lega, che nel nord-est ha il volto responsabile di Luca Zaia, a Roma la contrarietà al green pass l’ha portata sin dentro alle commissioni parlamentari. Scende in piazza a fianco aí No vax. Al punto che pure i deputati veneti come Silvia Covolo provano imbarazzo per la linea del partito.

 

“Credo si tratti della resistenza di una minoranza, che condanno e che spero venga sempre più marginalizzata”, dice il capo degli industriali vicentini stigmatizzando certe sbracature. “Lo abbiamo visto anche dalla scarsa adesione alle manifestazioni

no vax. Una misura come il green pass non può essere ostaggio di una fetta minoritaria di cittadini, che fanno più rumore sui giornali che non nel paese reale. La salute è un tema super partes, non si può fare propaganda politica sulla pelle della gente”.

 

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Una parte di responsabilità ce l’hanno anche i sindacati, “perché l’atteggiamento di alcune sigle è stato troppo ambiguo”, dice Dalla Vecchia. “Se la priorità è la sicurezza sul lavoro, non si può essere timidi nel contrasto al rischio di contagio. I non vaccinati non pongono un problema di produttività. Possiamo sopperire a quel 10 per cento di restii. Ma il vero obiettivo è evitare che si riempiano di nuovo i reparti di terapia intensiva. Vedete, non ne faccio un discorso soltanto di impresa”. Cosa deve fare quindi una certa politica che voglia continuare a rappresentare le istanze del mondo produttivo? “Seguire Draghi. La sua visione è la nostra. E’ in momenti come questo che bisogna far prevalere il senso di responsabilità”

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2. L’EROSIONE DEI CONSENSI IN CASA LEGA

Marcello Sorgi per “La Stampa”

 

Gli ultimi sondaggi sono impietosi: la Lega è sotto il 20 per cento, circa 14 punti in meno dell’exploit delle Europee del 2019, e ha un’inarrestabile tendenza al ribasso, verso il 17,4 per cento delle politiche del 2018, che il quotidiano show di Salvini – un leader, va detto, che non si risparmia -, non riesce a invertire.

 

borghi salvini bagnai borghi salvini bagnai

Se chiedi ai governisti del Carroccio, Giorgetti e gli altri ministri, oltre ai governatori delle regioni del Nord, Zaia e Fedriga, la ragione sta nel non aver sposato convintamente la scelta di stare al governo e nel continuo oscillamento con la nostalgia piazzaiola della Lega che fu. Se chiedi ai movimentisti, Bagnai, Borghi e il gruppetto di parlamentari che mercoledì hanno votato contro il green pass e contro il governo, la risposta è il contrario: la Lega scende perché è fin troppo responsabile nei confronti di Draghi e lascia uno spazio enorme all’opposizione della Meloni, ormai stabilmente nei sondaggi leader del primo partito italiano.

 

MATTEO SALVINI E GIANCARLO GIORGETTI ALL HOTEL MIAMI DI MILANO MARITTIMA MATTEO SALVINI E GIANCARLO GIORGETTI ALL HOTEL MIAMI DI MILANO MARITTIMA

In mezzo a questa insanabile contraddizione sta la difficoltà di Salvini. Se dovesse andargli male alle prossime amministrative – è possibile, la debolezza del candidato di Milano, Bernardo, è evidente – non potrebbe certo consolarsi con la sconfitta di Michetti: quello, altrettanto debole, scelto da Meloni per la Capitale. E neppure sarebbe logica l’ipotesi che qualcuno gli attribuisce, ma lui nega, di uscire dal governo alla fine di un crescendo polemico, né più né meno come ai tempi della famosa crisi del governo gialloverde annunciata nell’estate del Papeete.

 

MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI FEDERICO DINCA MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI FEDERICO DINCA

Perché in fondo la Lega al governo è tornata sulla spinta dell’elettorato “storico” del Nord e del mondo dei piccoli e medi imprenditori che si sentirebbe tradito. Inoltre, agitare temi come l’immigrazione, seppure rinverdita con gli attacchi di ogni giorno alla ministra dell’Interno Lamorgese, funziona meno. La lunga parentesi del Covid ha cambiato la scala dei valori degli elettori, oggi ancora focalizzati sui rischi dei contagi e disposti a pagare qualsiasi prezzo pur di riguadagnare la propria libertà, sebbene vigilata, come dimostra la larga adesione ai vaccini e al Green Pass. Così il momento magico di Salvini sembra passato, e il suo declino ricorda per certi versi quello assai più repentino di Renzi del 2018.

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Redazione Dagospia