LA VENEZIA DEI GIUSTI – “LA CAJA”, CIOÈ “LA CASSA”, DIRETTO DAL VENEZUELANO LORENZO VIGAS, LEONE D’ORO QUALCHE ANNO FA CON LA SUA OPERA PRIMA, “DESDE ALLA”, È UN FILM COMPLESSO, DI GRANDE LIVELLO DI SCRITTURA E MESSA IN SCENA – VIGAS CI PORTA IN UN MESSICO MERAVIGLIOSO E TERRIBILE TUTTO IN ESTERNI, MA MANTIENE L’IDEA DI FILM COSTRUITO IN FONDO SU UN SENTIMENTO IN EVOLUZIONE. QUELLO DI UNA RICONGIUNZIONE FAMILIARE CHE PORTI A UN ACCERTAMENTO DI IDENTITÀ, IN UN MESSICO DI CONFINE DOVE ESSERE MORTI O ESSERE VIVI NON È COSÌ DIVERSO – VIDEO

 

 

Marco Giusti per Dagospia

 

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Padri, figli, problemi di identità in un Messico di confine dove essere morti o essere vivi non è così diverso, sono i temi di “La caja”, cioè “La cassa”, complesso film giocato su una serie di perfette geometrie di racconto diretto dal venezuelano Lorenzo Vigas, Leone d’oro qualche anno fa con la sua opera prima, “Desde alla”, e presente a Venezia anche come produttore di “Sundown” di Michel Franco, che qui ricambia il favore.

 

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Inutile dire che Vigas, pur venezuelano  fa parte del ristretto gruppo di registi messicani, Cuaron Del Toro Inarritu Franco, che hanno ormai un certo potere sia nei festival che nella nuova Hollywood. Anche giustamente, visti i risultati. La caja, la cassa del titolo, è quella che dovrebbe contenere ciò che rimane delle spoglie del padre di un ragazzino, Hatzin Oscar Navarrete, inviato dalla nonna da Città del Messico in una zona di confine dove non  è difficile finire in una fossa comune.

 

Ma il ragazzo, pur con la cassa del padre in mano, riconosce in un personaggio un po’ losco, Hernan Mendoza, che traffica in operai per fabbriche di abiti improvvisate e ruba macchinari, il suo vero padre. Che ha cambiato nome e vita. Dopo essersi scontrato con lui, finisce per farsi accettare più come suo scagnozzo che come figlio, alla ricerca di una famiglia che non ha avuto. Ma si troverà presto di fronte alla brutalità e alla violenza di un padre criminale che non vuole forse più riconoscere come tale.

 

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Se “Desde alla” era tutto ambientato in città e era basato su un sentimento d’amore in crescita, “La caja” ci porta in un Messico meraviglioso e terribile tutto in esterni, ma mantiene l’idea di film costruito in fondo su un sentimento in evoluzione. Quello di una ricongiunzione familiare che porti a un accertamento di identità.

 

Ma in un mondo così violento il giovane protagonista Hatzin capirà che non è sempre la cosa migliore puntare sulla nostra vera identità e sui valori del sangue. Ogni azione del protagonista e ogni inquadratura sono costruite da Vigas per un preciso quadro narrativo da ricomporre alla fine della storia. Film di grande livello di scrittura e di messa in scena.

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Redazione Dagospia