L’inflazione registra a settembre un aumento dello 0,2% su base mensile e del 5,3% su base annua, da +5,4% del mese precedente. Lo rileva l’Istat confermando la stima preliminare. Secondo le associazioni dei consumatori, l’aumento dei prezzi pesa ancora sulle famiglie. Guardando i dati territoriali, è Genova la città con i rincari maggiori.

A settembre, spiega l’Istat, l’inflazione registra un ulteriore, sebbene lieve, rallentamento, attestandosi al +5,3%. La nuova discesa del tasso di inflazione risente dell’andamento dei prezzi dei beni alimentari, la cui crescita in ragione d’anno si riduce sensibilmente, pur restando su valori relativamente marcati (+8,4%). Per contro, un freno al rientro dell’inflazione si deve al riaccendersi di tensioni sui prezzi dei beni energetici – in particolare nel settore non regolamentato, che riporta la dinamica tendenziale del comparto su valori positivi – ma anche all’accelerazione dei prezzi dei Servizi di trasporto.

La lieve decelerazione del tasso d’inflazione si deve prevalentemente al rallentamento su base tendenziale dei prezzi degli Alimentari non lavorati (da +9,2% a +7,7%), degli Alimentari lavorati (da +10% a +8,9%), dei Beni durevoli (da +4,6% a +4%) e, in misura minore, dei Beni non durevoli (da +5,2% a +4,7%), dei Beni semidurevoli (da +2,9% a +2,4%) e dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,9% a +3,7%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati da un’accelerazione dei prezzi degli Energetici non regolamentati (da +5,7% a +7,6%), dalla flessione che a settembre risulta più contenuta dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -29,6% a -27,9%) e dall’aumento del ritmo di crescita dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (da +1,2% a +3,8%).

L'”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi rallenta ancora (da +4,8% a +4,6%), così come quella al netto dei soli beni energetici (da +5% registrato ad agosto a +4,8%). Si affievolisce la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +6,3% a +6%), mentre si accentua quella dei servizi (da +3,6% a +4,1%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -1,9 punti percentuali, da -2,7 di agosto. Rallentano in termini tendenziali i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +9,4% a +8,1%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +6,9% a +6,6%). La crescita congiunturale dell’indice generale si deve principalmente all’aumento prezzi degli Energetici sia regolamentati (+2,4%) sia non regolamentati (+1,6%), degli Alimentari non lavorati (+0,6%), dei Beni semidurevoli e dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,5% per entrambi) e dei Servizi vari (+0,3%); tali effetti risultano in parte compensati dal calo dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (-1,7%). L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +5,2% per la componente di fondo.

Più colpiti nuclei con minor capacità spesa

Nel terzo trimestre l’impatto dell’inflazione, misurata dall’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca), è più ampio sulle famiglie con minore capacità di spesa rispetto a quelle con livelli di spesa piu’ elevati (+6,7% e +5,6% rispettivamente). Tuttavia, rispetto al trimestre precedente, il rallentamento dell’inflazione è più marcato per il primo dei due gruppi. Lo rileva l’Istat nei dati definitivi di settembre. L’indice Ipca aumenta dell’1,7% su base mensile, anche per effetto della fine dei saldi estivi di cui il Nic non tiene conto, e del 5,6% su base annua (in accelerazione da +5,5% di agosto); la stima preliminare era +5,7%. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra un aumento congiunturale dello 0,2 e tendenziale del 5,1%.

Codacons, prezzi ancora sostenuti carrello spesa

L’inflazione non cala abbastanza, e con un tasso al +5,3% una famiglia tipo si ritrova a spendere +1.550 euro all’anno a causa degli aumenti dei prezzi, spesa che sale a +2.008 euro all’anno per un nucleo con due figli. Lo afferma il Codacons, commentando i dati definitivi di settembre diffusi oggi dall’Istat. I numeri dell’Istat dimostrano che l’inflazione cala al rallentatore, passando dal +5,4% di agosto al +5,3% di settembre, con alcuni settori come beni alimentari e carrello della spesa che segnano una crescita dei prezzi ancora sostenuta, rispettivamente +8,4% e +8,1% – spiega il Codacons.

Dopo due anni di caro-vita che hanno svuotato le tasche degli italiani, i prezzi al dettaglio dovrebbero scendere in modo più marcato ma questo non avviene, e il governo deve adottare misure più incisive per ottenere una riduzione immediata dei listini al dettaglio, a partire da un congelamento delle accise sui carburanti. Per il Codacons, il paniere anti-inflazione partito ad ottobre, infatti, non appare assolutamente in grado di far scendere i prezzi e tutelare i redditi delle famiglie, e non sta producendo gli effetti sperati perché lascia a commercianti e industria la facoltà di scegliere quali beni scontare e a quali condizioni – conclude l’associazione.

Unc: stangata da 1.451 euro per coppie con 2 figli, 654 euro per cibo e bevande, 691 euro per il carrello della spesa

“Calo risibile e illusorio. La discesa dell’inflazione annua non solo è con il contagocce, ma è pure illusoria. I prezzi, infatti, pur se ormai stellari continuano lo stesso a salire dello 0,2% rispetto ad agosto. Per questo urgono interventi seri per ridurre l’inflazione, ad esempio stracciando l’inutile disegno di legge sulla concorrenza che non fa nulla per le famiglie, prevedendo l’abolizione delle penali per abbandonare le compagnie telefoniche o le offerte indicizzate all’inflazione, proibire Shrinkflation e overpackaging, dare una definizione di prezzo anomalo, rinviare la fine del mercato tutelato dell’energia sia per le famiglie che per i condomini, solo per fare degli esempi”, afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

“Per una coppia con due figli, la famiglia tradizionale di una volta, l’inflazione a +5,3% significa un aumento del costo della vita pari a 1.451 euro su base annua. Di questi, nonostante il calo della divisione dei prodotti alimentari e bevande analcoliche, da +9,9% di agosto a +8,5%, ben 654 euro servono solo per far fronte ai rialzi di cibo e bevande, 691 euro per il carrello della spesa a +8,1%, anche questo in consistente riduzione (era +9,4% nel mese precedente). Per una coppia con 1 figlio, la spesa aggiuntiva annua è pari a 1.323 euro, di cui 590 per mangiare e bere, 627 euro per i beni alimentari, per la cura della casa e della persona. In media per una famiglia la stangata è di 1.043 euro, 479 per nutrirsi, 508 euro per la spesa di tutti i giorni. Il primato alle famiglie numerose con più di 3 figli con una mazzata pari a 1.629 euro, 781 per sfamarsi e 818 euro per il carrello della spesa”, conclude Dona.

Le città con il costo della vita più alto

Analizzando i dati territoriali dell’inflazione di settembre resi noti dall’Istat, l’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica completa di tutte le città e delle Regioni d’Italia con i rincari maggiori.

In testa alla graduatoria, Genova dove l’inflazione tendenziale pari a +7,3%, la più alta d’Italia, si traduce nella maggior spesa aggiuntiva su base annua, equivalente a 1.591 euro per una famiglia media.

Medaglia d’argento per Milano, +5,8% su settembre 2022 e un incremento di spesa pari a 1.575 euro a famiglia. Sul gradino più basso del podio Alessandria che con +7%, la seconda inflazione più alta d’Italia ex-aequo con Brindisi, ha una spesa supplementare pari a 1555 euro annui per una famiglia tipo.

Poi ben 3 città della Lombardia: Lodi al quarto posto, +6,1% e una stangata pari a 1548 euro, seguita da Lecco (+6%, +1523 euro) e Varese (+5,7%, +1503 euro).

Seguono Siena e Grosseto, entrambe con +6,6%, la 4° inflazione più alta del Paese,  +1488 euro, al nono posto  Torino (+6,2%, +1426 euro). Chiude la top ten Firenze (+6,1%, +1423 euro).

Sull’altro fronte della classifica, la città più virtuosa d’Italia in termini di spesa aggiuntiva più bassa è sempre Potenza, con l’inflazione più bassa del Paese (+3,4%) e dove in media si spendono “solo” 671 euro in più all’anno. Al secondo posto Caserta, (+3,8%, +739 euro). Medaglia di bronzo Reggio Calabria (+4,2%, +784 euro).

Bene anche Trapani (+4,3%, +820 euro), Bari al quinto posto (+4,8%, +823 euro), Catanzaro, Campobasso, Ancona, prima città del Centro e Reggio Emilia, prima città del Nord. Chiude la top ten delle migliori, Pescara, +4,4%, +895 euro.

 Le Regioni con i rincari maggiori

In testa alla classifica delle regioni più “costose”, con un’inflazione annua a +7,1%, abbondantemente la più alta d’Italia, la Liguria che registra a famiglia un aggravio medio pari a 1.465 euro su base annua. Segue la Lombardia, dove la crescita dei prezzi del 5,3% implica un’impennata del costo della vita pari a 1377 euro, terzo il Piemonte, +6,2% e 1354 euro.

La Regione più risparmiosa è ancora una volta la Basilicata, +3,4%, pari a 658 euro, seguita dal Molise (+4,7%, +861 euro). Medaglia di Bronzo per la Puglia (+5,4%, +874 euro).

 

Fonte Agi

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