Abbiamo chiesto ad alcuni esperti come dovrebbe essere il profilo LinkedIn per farsi prendere in considerazione da un’azienda. Quali informazioni dare? Meglio scriverle in italiano o in inglese? E che foto scegliere? Ecco un vademecum.

Le informazioni imprescindibili

LinkedIn è un social per creare contatti professionali, cercare lavoro e, dall’altro lato, contattare possibili candidati. Quando apriamo un profilo dobbiamo inserire il nostro curriculum digitale con le esperienze lavorative, gli studi e i nostri contatti. Ma come farlo nel modo giusto? Lo abbiamo chiesto a un’azienda di head hunter, Lovati & Associati e a un professionista del settore delle risorse umane, Andrea Baduena.

“Il profilo LinkedIn di un candidato per un head hunter è un biglietto da visita che deve essere in grado di attrarci“, spiega Luca Lovati, head hunter di Lovati & Associati. LinkedIn è solo uno tra i social usati dagli head hunter (un altro esempio è il meno noto Xing): “Qui sono fondamentali le esperienze, che devono essere analitiche. Non basta solo il titolo ma anche il ruolo preciso che ricopriamo”. Secondo Lovati è importante che le ultime esperienze siano quelle più in evidenza: “I primi lavori svolti possono essere sintetici, nel caso di un profilo senior”.

Un’altra parte importante e spesso trascurata è quella dedicata alle informazioni (che si imposta cliccando su ‘Aggiungi sezione’ e scegliendo poi ‘Informazioni’): “Qui scriviamo quello che vogliamo far percepire agli altri”, prosegue Lovati. “Va benissimo approfondire il proprio ruolo, considerando questo spazio come una lettera di presentazione“. Meglio non esagerare con la lunghezza e inserire le parole chiave giuste, consiglia l’esperto, quelle che poi lui e suoi colleghi useranno per cercare determinati profili. “Se sbaglio parole chiave, è probabile che io finisca nelle ricerche per un altro lavoro”, spiega Lovati. “Ad esempio, se sono auditor in un’azienda e lavoro nell’anticorruzione, scrivendo solo ‘auditor’ ma non la seconda parte (‘anticorruzione’) l’head hunter non mi troverà mai con una ricerca specifica sull’anticorruzione”.

Secondo l’altro professionista, Andrea Baduena, non devono inoltre mancare email, numero di cellulare, eventuale blog o sito internet: “È necessario scrivere un testo che descriva il proprio profilo e i punti forti per cui la persona intende farsi conoscere e creare la propria rete”, dice.

Che lingua usare

Per Lovati è importante scrivere sia in italiano che in inglese: “Specialmente per quanto riguarda il proprio titolo perché gli head hunters svolgono le ricerche in entrambe le lingue”.

Anche secondo Baduena è meglio usare entrambe le lingue ma la scelta dipende molto dal lavoro che si fa: “In ogni caso credo che al giorno d’oggi, soprattutto per le figure tech, sia opportuno avere il profilo sia in italiano che in inglese”.

La fotografia è importante

Il vecchio adagio secondo il quale non va giudicato un libro dalla copertina su LinkedIn non funziona. Scegliere la giusta immagine è fondamentale: “Trattandosi di un social ‘serio’, è meglio usare una foto professionale. È indifferente se in bianco e nero o a colori”, spiega Lovati.

L’immagine del profilo è in grado già da sola di fornire qualche dettaglio sul carattere della persona: “Indica se è seria, allegra e così via”, continua Lovati. “In ogni caso la fotografia va di pari passo con la nostra professione. Se lavoro come clown ai compleanni, mettere un’immagine vestito da clown va bene”.

L’immagine di copertina, secondo l’head hunter, può essere affine all’azienda per cui si lavora al momento, come il logo o qualcosa che riguardi la nostra attività. Baduena, invece, preferisce fotografie a colori e consiglia di usare strumenti specifici (come l’app Snappr) che analizzano automaticamente quanto una foto sia adatta a LinkedIn.

Per non sbagliare è meglio non mettere alcuna foto? “No, la cosa importante è proprio avere una foto”, spiega Lovati. “Non avere un’immagine del profilo fa sorgere molti dubbi negli head hunter: perché dovresti nasconderti?”.

Niente informazioni private e occhio ai gruppi che si seguono

Entrambi gli head hunter sono concordi sulla necessità di pubblicare solo ciò che riguarda la propria professione, non confondendo il social con altre piattaforme in cui si condivide di tutto. “Quello che bisogna evitare è inserire informazioni sulla vita privata. Dire, ad esempio, che sei manager e padre amorevole o che sei proprietario di un animale, non ha senso”, dice Lovati. Ininfluente, poi, indicare i propri hobby, che invece, secondo Lovati, possono essere aggiunti al curriculum tradizionale.

La sezione dedicata alle competenze invece non è fondamentale: “Spesso le persone che confermano una nostra competenza (attraverso il meccanismo di validazione previsto da LinkedIn, ndr) non ci conoscono nemmeno. Discorso diverso è per le referenze: quelle sono più importanti, perché dimostrano che conosco direttamente la persona che mi sta lasciando una recensione”.

Per quanto riguarda le pagine da seguire, l’head hunter consiglia soprattutto quelle affini al proprio lavoro e in linea con i propri interessi professionali: “Ho vagliato un profilo di una persona che seguiva una pagina di un giocatore della Juventus e ho scoperto che era una sportiva sfegatata. Nulla di male, ma quello che consiglio è di seguire gruppi professionali e non di divertimento su questo social. Un profilo fatto male su LinkedIn è quello che non trasmette le qualità, la professionalità e la preparazione adeguata“.

I giovani tendono a sopravvalutarsi, chi è qualificato si fa cercare

Quanto sono frequenti le incongruenze tra le competenze di un profilo LinkedIn e quelle reali della persona? “Su LinkedIn la tendenza a sopravvalutarsi è comune soprattutto nei profili giovani. Lavorando con profili medio-alti questo è più raro”, dice Lovati. “Spesso – aggiunge Baduena – capita poi che un colloquio sia peggiore della prima impressione su LinkedIn. Ci sono candidati che, almeno sulla carta si sanno vendere bene”.

“Se sei un giovane neolaureato è normale non avere esperienze. Mi sembra difficile che le aziende cerchino profili qualificati ma, allo steso tempo, con età giovane”, dice Lovati. Quindi meglio quindi essere sinceri, riportando solo esperienze effettivamente fatte e candidarci per le posizioni affini al nostro profilo e che ci interessino.

Su LinkedIn, secondo Lovati ormai sono per lo più i giovani a cercare lavoro, mentre chi è molto qualificato tende a farsi cercare, rendendo complicato anche il lavoro dei ‘cacciatori di teste’: “Su 100 profili che contattiamo, ci rispondono circa 31 persone”. Lo stesso succede per Baduena: “Da head hunter, non bisogna mai scoraggiarsi: spesso i potenziali candidati spariscono per ricomparire con i loro tempi. Mi è capitato che un candidato abbia risposto al mio messaggio dopo quasi un anno”.

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