Nel tessuto normativo che regola le assenze per malattia nel lavoro pubblico e privato in Italia, si inserisce una complessa questione giuridica che ha recentemente catalizzato l’attenzione degli addetti ai lavori. Il Decreto Ministeriale n. 206 del 17 ottobre 2017, elemento centrale della disputa, ha introdotto una regolamentazione sulla reperibilità deicon conseguente annullamento in parte qua del provvedimento che ne costituisce l’oggetto. lavoratori assenti per malattia che ha suscitato le perplessità dell’Unione Italiana del Lavoro (UIL) della Pubblica Amministrazione Polizia Penitenziaria.
La Disputa
Il decreto, emanato congiuntamente dai Ministri per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione e per il Lavoro e le Politiche Sociali, specifica le modalità di effettuazione delle visite fiscali e le fasce orarie di reperibilità. Il ricorso n. 2760 del 2018 presentato dalla UIL mira all’annullamento di questo decreto, in particolar modo per quanto concerne l’articolo 3, che determina le suddette fasce orarie.
Punti Critici e Argomentazioni
La UIL ha enfatizzato la violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione Italiana, che salvaguardano il principio di eguaglianza e il buon andamento dell’amministrazione. L’eccesso di potere, manifestato nella differenziazione delle fasce orarie, viene visto come un attacco diretto a tale principio, con una discriminazione evidente tra lavoratori pubblici e privati.
Il dibattito, portato dinanzi al TAR Lazio, ha messo in luce le diverse interpretazioni tra la difesa del mantenimento delle fasce orarie da parte della Pubblica Amministrazione e la contestazione della UIL, che vi vede una contraddizione con il principio di uguaglianza e con la Direttiva europea 2000/78/CE.
La UIL argomenta che il regime di controllo imposto dal decreto sembra avere una finalità dissuasiva all’utilizzo dei permessi per malattia piuttosto che di verifica della condizione di salute del lavoratore. Ciò si scontrerebbe con il diritto alla salute, garantito dall’art. 32 della Costituzione Italiana, delineando un’apparente intenzione punitiva a discapito della tutela del lavoratore pubblico.
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La sentenza del TAR
La Corte ha osservato innanzitutto che per il settore privato le fasce orarie di reperibilità per la visita fiscale, anch’esse non modificate, sono completamente diverse: 10-12 e 17-19. In questo modo è evidente che non è stata assicurata l’armonizzazione della disciplina dei settori pubblico e privato, alla quale il decreto era chiamato, relativamente alle fasce orarie di reperibilità, che sono rimaste profondamente differenziate, in modo decisamente più penalizzante per i dipendenti pubblici.
Come ha osservato il Consiglio di Stato nel parere reso con riguardo proprio al detto decreto, sussisteva la “necessità di adeguare il quadro normativo allo sviluppo tecnologico dei sistemi di comunicazione digitale sia in ragione del progressivo allineamento della disciplina normativa concernente i dipendenti pubblici con quella relativa al settore privato, conseguente al processo di “privatizzazione” del pubblico impiego che ha avuto luogo a partire dall’inizio degli anni ‘90.”. Il Consiglio di Stato, con specifico riferimento all’art. 3 in esame, ha poi evidenziato in fatto “che tale articolo – nell’individuare quali fasce orarie di reperibilità i periodi ricompresi tra le ore 9 e le 13 e tra le ore 15 e le 18 di ciascun giorno – mantiene gli orari attualmente previsti per i pubblici dipendenti, lasciando dunque immutata la differenziazione tra dipendenti pubblici e privati, in relazione ai quali sono previste fasce orarie di reperibilità più brevi, ricomprese tra le ore 10 e le 12 e tra le ore 17 e le 19.”.
Facendo ancora notare come l’Amministrazione abbia motivato con il rilievo che “l’armonizzazione alla disciplina prevista per i lavoratori privati avrebbe comportato (per i dipendenti pubblici) una riduzione delle fasce orarie da sette ore giornaliere a sole quattro e, quindi, una minore incisività della disciplina dei controlli”, la Sezione “Atti normativi” del Consiglio di Stato ha dichiarato che “non può esimersi dal rilevare che la motivazione esplicitata dall’Amministrazione, basandosi su una nozione di controllo prettamente quantitativa, non appare adeguata a superare la circostanza che la disposizione in esame potrebbe essere ritenuta non conforme al criterio di delega recato dall’art. 55 septies, comma 5 bis del d. lgs. n. 165 del 2001, nella parte in cui dispone che l’atto normativo de quo debba essere finalizzato a “armonizzare la disciplina dei settori pubblico e privato”.
Essa ha quindi sostenuto la necessità di “invitare l’Amministrazione a procedere, con le modalità ritenute più opportune, all’armonizzazione della disciplina delle fasce orarie di reperibilità fra dipendenti pubblici e dipendenti del settore privato, in base a quanto esplicitamente previsto dalla normativa di delega di cui al richiamato art. 55 septies, comma 5 bis del d. lgs. n. 165 del 2001.”.
La mancata armonizzazione ha altresì determinato una disparità di trattamento tra settore pubblico e settore privato, a parere del Collegio, del tutto ingiustificata, considerato che un evento come la malattia non può essere trattato diversamente a seconda del rapporto di lavoro intrattenuto dal personale che ne viene colpito. Ne è quindi derivata la violazione dell’art. 3 Costituzione, non essendo rispettato il principio di uguaglianza.
Il mantenimento delle differenziate fasce orarie, con una durata complessiva, per il settore pubblico, quasi doppia rispetto a quella del settore privato (7 ore a fronte di 4 nell’arco di una giornata) è indicativo anche di uno sviamento di potere: la stessa motivazione addotta dall’Amministrazione nell’interlocuzione con il Consiglio di Stato (il mancato allineamento delle fasce di reperibilità per il settore pubblico a quelle del privato è dovuto ad una minore incisività della disciplina dei controlli) è una dimostrazione del fatto che si parte dall’idea che per il settore pubblico servano controlli rafforzati. Tali controlli ripetuti, associati ad una restrizione delle ipotesi di esclusione dall’obbligo di rispettarle, sembrano piuttosto diretti a dissuadere dal ricorso al congedo per malattia, in contrasto con la tutela sancita dalla Carta costituzionale dall’art. 32.
Il TAR Lazio ha dunque accolto il ricorso con conseguente annullamento in parte qua del provvedimento che ne costituisce l’oggetto.
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Articolo tratto dal Portale di Informazione InfoDifesa