La Commissione europea ha presentato la sua proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita, il trattato che regola i conti pubblici dei Paesi dell’Unione europea. Ecco cosa potrebbe cambiare per i cittadini italiani.
Ridurre la spesa pubblica. Questo è il compito che la Commissione europea affida all’Italia, il secondo Paese più indebitato dell’Unione in rapporto al Pil. Una spesa che nel 2022 ha superato i mille miliardi di euro (dati contenuti nel Documento di economia e finanza). Si tratta di oltre il 55% del Prodotto interno lordo. A crescere nei prossimi anni sarà già la spesa per interessi: dagli 83 miliardi di euro pagati nel 2022 ai quasi 101 previsti nel 2026. Un aumento dovuto soprattutto al rialzo dei tassi deciso dalla Banca centrale europea per combattere l’inflazione.
Cosa è il patto di stabilità e crescita
Il Patto di stabilità e crescita ha l’obiettivo di garantire la disciplina di bilancio dei Paesi dell’Unione europea. Firmato nel 1997, riprende due parametri già introdotti dal trattato di Maastricht: il deficit pubblico (semplificando: la differenza tra spese e entrate in un anno) deve essere sotto il 3% del Pil e il debito sotto il 60% del Pil. L’Italia negli ultimi 10 anni anni ha quasi sempre rispettato la prima regola (tranne che dal 2020 al 2022). Ma il debito pubblico è sempre stato sopra i parametri: nel 2013 era al 135,4%. Calato negli anni successivi fino al 2019 (134,1%), è riesploso con la pandemia: 154,9% nel 2020, 149,9% nel 2021 e 144,4% nel 2022. Quasi una volta e mezza il Prodotto interno lordo.
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Patto di stabilità e crescita: perché si cambia
Nell’Unione europea il debito nel 2019 era il 77,7% del Pil. A fine 2022, l’84,0%. Il fatto che queste regole non siano state completamente rispettate ha fatto pensare che fossero troppo complesse e rigide a chi voleva cambiare il Patto. Anche per questo la Commissione europea ha proposto di integrare questi parametri con un piano concordato con i singoli governi nazionali. Il modello è quello del Next Generation Eu, con tanti piani di ripresa diversi a seconda della situazione di ogni Paese.
Patto di stabilità e crescita: cosa cambia
Questa volta però non si tratterà di piani di spesa, bensì di taglio del debito. E non si escluderanno dal computo della spesa pubblica gli investimenti finanziati con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: una proposta che ha fatto irritare il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti: “Prendiamo atto”. Per i Paesi ad alto debito (come l’Italia), verrà concordata una “traiettoria tecnica” con l’obbligo di un aggiustamento annuo di almeno lo 0,5% del Pil fino a quando il deficit sarà al di sopra del 3%. In sostanza, si chiederà di risparmiare come minimo 9,5 miliardi ogni anno (a valori di Pil del 2022). Poco più di un quarto del valore della prima Manovra del governo Meloni. Altrimenti la Commissione Ue potrebbe avviare una procedura di infrazione contro il nostro Paese.
Patto di stabilità e crescita: cosa succede ora
I ministri dell’Economia e delle Finanze ne discuteranno già il 28 e il 29 aprile a Stoccolma. Poi il Patto tornerà sul tavolo dei prossimi meeting del 16 maggio e 16 giugno. L’obiettivo è raggiungere un accordo approvato anche dal Parlamento europeo entro la fine dell’anno. Per due motivi. Innanzitutto, nel 2024 rientrerà in ogni caso in vigore il Patto di stabilità, sospeso dallo scoppio della pandemia. Per la Commissione è meglio che sia da subito operativa la nuova versione. In secondo luogo, nel 2024 si vota per le elezioni europee: inserire questo dibattito nella campagna elettorale renderebbe molto più difficile trovare un accordo tra gli Stati.