Se quando arrivano le guardie gli dici qualcosa ti ammazziamo“. Una minaccia sussurrata dai due aguzzini mentre gli stringono una corda al collo, fatta con i lembi delle lenzuola, bagnati per renderli più resistenti. L’hanno prima quasi soffocato per impaurirlo, poi l’hanno minacciato con un coltello rudimentale ricavato affilando un pezzo di ferro del letto.

Così nel carcere romano di Regina Coeli due due detenuti dell’ex Jugoslavia hanno abusato a turno per due giorni e due notti di un compagno di cella romano di 66 anni. Il terribile episodio di violenza denunciato dal sindacato autonomo di polizia penitenziaria Sappe si è consumato in una cella di pernottamento della VII sezione del carcere romano: i tre detenuti erano in isolamento perché positivi al Covid.

Una violenza sessuale reiterata per 48 ore, il 13 e il 14 aprile. Ogni volta che passava un agente di polizia penitenziaria i due violentatori mandavano il 66enne in bagno, per impedirgli di chiedere aiuto. Gli aggressori sono due rom, in carcere per furto e rapina.

La vittima, un uomo fragile, con problemi di tossicodipendenza, doveva scontare una breve condanna per droga: la fine della pena è fissata per il 2 luglio prossimo.

Ad accorgersi che qualcosa non andava, il 15 aprile, è stato un agente di polizia penitenziaria, che ha saputo leggere il terrore negli occhi  della vittima. Ha chiamato altri colleghi. Quando ha aperto il cancello della cella il 66enne è scappato in corridoio. Ha implorato gli assistenti di portarlo via, non voleva più entrare in quella stanza. Gli agenti allora hanno richiuso la cella e hanno portato la vittima negli uffici di polizia.

L’uomo si è subito sfogato, ha messo a verbale gli abusi che aveva subito nei due giorni precedenti. E’ stato accompagnato al pronto soccorso dove gli hanno diagnosticato le lesioni procurate dagli abusi sessuali.

Il 66enne attualmente è detenuto nel centro clinico di Regina Coeli. I due rom, accusati di sequestro di persona e violenza sessuale, sono ancora chiusi nella stessa cella nel quale avevano commesso le violenze.

“La sicurezza interna delle carceri – attacca Donato Capece, il segretario generale del Sappe – è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, l’aver tolto le sentinelle di sorveglianza della polizia penitenziaria  dalle mura di cinta delle carceri, la mancanza in organico di poliziotti penitenziari, il mancato finanziamento per i servizi anti intrusione e anti scavalcamento“.

La politica, aggiunge  Maurizio Somma, il segretario nazionale per il Lazio del Sappe “se ne è completamente fregata. E i vertici del ministero della Giustizia e dell’amministrazione penitenziaria hanno smantellato le politiche di sicurezza nelle carceri”.

Articolo tratto dal Portale di Informazione InfoDifesa