MA SIAMO IN ITALIA O IN AFGHANISTAN? NEL CARCERE DI REBIBBIA UNA 23ENNE, RESIDENTE NEL CAMPO ROM DI CASTEL ROMANO, E’ STATA COSTRETTA A PARTORIRE IN CELLA SENZA ASSISTENZA MEDICA – POCO DOPO L’INCARCERAZIONE, A LUGLIO, LA GARANTE DEI DETENUTI AVEVA CHIESTO IL TRASFERIMENTO IN UNA STRUTTURA ADEGUATA – MA DALLA GIUDICE NON E’ MAI ARRIVATA NESSUNA RISPOSTA – LA NOTTE DEL 3 SETTEMBRE LE URLA DELLA RAGAZZA HANNO RICHIAMATO GLI AGENTI E…

 

Parto in cella 2 Parto in cella 2

Nel carcere di Rebibbia, in una totale violazione dei diritti dei detenuti, una ragazza è stata costretta a partorire in cella lo scorso 3 settembre. Oltre che in condizioni sanitarie inadeguate, il parto è avvenuto senza l’assistenza di un’ostetrica o di personale medico. 

 

Amra ha 23 anni ed è un’italiana di origine bosniaca, ex residente nel campo rom di Castel Romano. Era stata arrestata per furto a luglio, quando si trovava in uno stato già avanzato della gravidanza. 

 

Parto in cella Parto in cella

Poco dopo l’incarcerazione, la Garante dei detenuti di Roma, Gabriella Stramaccioni, aveva fatto richiesta al giudice di concederle il rilascio, proponendo di trasferirla, piuttosto, nella Casa di Leda, dedicata alla tutela delle detenute con figli minori. Dal giudice, però, non è mai arrivata alcuna risposta. 

 

Le doglie sono arrivate la notte del 3 settembre, e solo le urla della ragazza hanno richiamato l’attenzione degli agenti. All’arrivo del medico di turno e dei sanitari, il parto era già avvenuto in cella. 

 

Parto in cella 3 Parto in cella 3

Amra è stata poi rilasciata, in attesa del processo, ed è potuta tornare a casa. In seguito all’episodio altre due detenute incinte sono state liberate dal carcere.

 

Per il Sottosegretario alla Giustizia con delega all’edilizia carceraria, Francesco Paolo Sisto, «l’istituto carcerario non c’entra nulla con quanto accaduto. La detenuta è stata posta in isolamento presso il reparto di infermeria del penitenziario e assistita dal personale sanitario e al parto era presente il medico, opportunamente organizzato per l’emergenza. Per un compiuto esame di quanto accaduto, – continua Sisto – il Ministero ha comunque trasmesso il dossier all’Ispettorato, così da consentire l’accertamento di eventuali responsabilità da parte di uffici diversi da quelli della struttura di reclusione».

 

Minori in carcere Minori in carcere

Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti e delle persone private della libertà personale, definisce invece «una vergogna» la terribile vicenda, di cui «Come istituzioni siamo tutti responsabili, perché non si può far nascere una persona in situazioni di detenzione. Ci troviamo di fronte a uno scaricamento complessivo di responsabilità: dal magistrato che dovrebbe considerare anche la situazione peculiare, al carcere nel momento in cui è in gioco una vita che viene alla luce. Il carcere avrebbe potuto dire che non era in grado di accogliere una persona tanto vicina al parto e chiedere alle istituzioni un’altra soluzione e dal magistrato, tanto più da una donna, ci si aspetterebbe maggiore sensibilità» ha concluso. 

 

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«Quanto è accaduto – dice Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato della polizia penitenziaria Spp – dovrebbe far vergognare la Ministra di Grazia e Giustizia Cartabia, prima di tutto come donna. Inviare gli ispettori ministeriali dopo quanto è successo è tardivo, inutile e non può servire a salvare la coscienza». Il sindacalista e la sua organizzazione avevano lanciato da tempo la campagna “nessun bambino in cella”. 

 

Parto in cella 5 Parto in cella 5

«Che nel 2021 una donna si trovi a partorire da sola in cella è semplicemente inaccettabile» scrive su Facebook la senatrice Monica Cirinnà, responsabile Diritti del Pd. «Non posso fare a meno di ricordare che nella legge di bilancio per il 2021 sono stati stanziati fondi (3,5 milioni di euro in tre anni) per la creazione di nuove case famiglia protette: quelle strutture, cioè, destinate ad accogliere detenute in gravidanza o con figli minori, quando non ci siano elementi di pericolosità e non sia possibile la detenzione domiciliare. Ho depositato una interrogazione alla Ministra Cartabia proprio sul ritardo nell’utilizzo di questi fondi. Mi auguro che questa dolorosa vicenda spinga ad accelerare la creazione di queste strutture protette, affinché mai più un bambino o una bambina debba varcare la soglia di un carcere, o addirittura – come in questo caso – in un carcere nascere, in condizioni del tutto contrarie alla tutela della dignità delle persone».

 

Parto in cella 4 Parto in cella 4

Le strutture protette in Italia sono diverse e distribuite sul territorio. Sono attualmente 22 detenute-madri e 25 bambini a occupare le sezioni nido degli istituti penitenziari e degli istituti a custodia attenuata, specificamente attrezzati per l’accoglienza di madri con prole. Undici di loro sono detenute fra gli istituti di Torino (2 madri e 2 minori), Milano (2 madri e 2 minori) e Venezia (2 madri e 3 minori); due sono nella sezione nido della Casa circondariale femminile di Roma Rebibbia (dove si trovano anche due minori), mentre in ciascuna delle apposite sezioni nido di Torino, Milano Bollate e Firenze Sollicciano sono ospitate una madre con un minore al seguito. Il numero più alto di presenze si registra all’ICAM di Lauro, in Irpinia, che ospita 11 madri e 13 bimbi. 

 

«Purtroppo – continua Di Giacomo – dobbiamo solo registrare che il numero si è dimezzato ma la situazione di autentica barbarie non è stata superata. È anche questo il segnale del disinteresse istituzionale e della politica per i veri problemi del sistema penitenziario italiano mostrando solo interesse per fatti come quelli di Santa Maria Capua Vetere per i quali si continua a dare grande clamore mediatico».

 



Redazione Dagospia