“QUELLA ROMA CHE E’ MEGLIO DI MILANO!”. LE MILLE VITE DI REMO REMOTTI – IN UN GRAPHIC NOVEL DAVIDE TOFFOLO DEI TRE ALLEGRI RAGAZZI MORTI RICORDA L’ARTISTA ROMANO, LA FIGLIA FEDERICA: “UNO DEI SUOI INSEGNAMENTI PIÙ IMPORTANTI È CHE ‘L’ARTE NON HA ETICHETTE’. MIO PADRE A 62 ANNI CONOBBE MIA MADRE, SI INNAMORÒ E A 2 ANNI DOPO DIVENNE PADRE, COMINCIANDO A LAVORARE TANTISSIMO. UN PERSONAGGIO CHIAVE FU NANNI MORETTI PERCHÉ È GRAZIE A LUI CHE…” – IL MONOLOGO IN SOGNI D’ORO: VIDEO
Luca Valtorta per “Robinson”
«E me ne andavo da quella Roma addormentata/ Quella Roma dove le domande/ Erano sempre già chiuse/ Dove ce voleva ‘na raccomandazione/ Me andavo da quella Roma/ Che ci invidiano tutti/ La Roma caput mundi/ Del Colosseo/ Dei Fori imperiali/ Di piazza Venezia/ Dell’Altare della patria/ Dell’Università di Roma/ Quella Roma sempre col sole/ Estate e inverno/ Quella Roma che è meglio di Milano»: per spiegare chi è Remo Remotti sicuramente vale la pena di partire da qui, da Mamma Roma Addio!, il suo scritto più famoso, più volte da lui reinterpretato, anche in musica.
Ma è sufficiente solo per iniziare, non per spiegare tutti i risvolti di un personaggio straordinario, nel senso davvero di “fuori dall’ordinario”, quale è stato Remo Remotti. Per farlo ci aiuta, e molto, il libro che gli ha dedicato un personaggio per molti versi a lui affine, Davide Toffolo. Si intitola L’ultimo vecchio sulla terra.
Perché Remo Remotti?
«Tanti anni fa ormai, sarà stato nel 2004 ero ospite a un festival di letteratura a Pescara e lui era lì. Mi incuriosiva e sono andato a vederlo. È stato illuminante perché non fu una semplice presentazione del libro ma una performance vera e propria. Tanto che, nel tempo, tutte le altre cose che ho fatto in stile stand-up comedy come per esempio Graphic Novel Is Dead erano un omaggio sì a Kaufman, però anche no. Se guardi bene, dietro infatti c’è anche Remo Remotti.
E così l’anno scorso in cui ho avuto tanto tempo per disegnare visto che suonare non si poteva, ho fatto finalmente il libro dedicato a lui. Solo dopo averlo finito l’ho mandato a sua moglie Luisa e a sua figlia Federica, che sono state davvero molto affettuose perché hanno capito, credo, che è stato un lavoro rispettoso» .
I testi sono pazzeschi.
«Io ho lavorato sulla scrittura di Remotti, non ho modificato niente, infatti il libro è firmato a suo e mio nome: io l’ho solo disegnato» .
Cosa ti colpiva di Remotti?
«Proprio la forte vitalità che c’è dentro la sua scrittura. Lui è conosciuto come il cantore di un certo tipo di romanità, però in realtà nella sua opera ci sono secondo me tre linee: una è l’amore per le donne, l’altra quello per la psicanalisi e la terza l’amore per l’arte del Novecento. Perciò ho scelto sette temi che ridanno alla sua figura una dimensione più completa.
E anche nel disegnarlo mi sono ispirato ai suoi di disegni, perché lui è stato pittore e assistente di gente come Vedova. In Germania ha fatto lo scultore e poi verso i cinquant’ anni è diventato attore! Ha lavorato con Moretti in molti film e poi, alla fine, è diventato liberissimo reinventandosi come una specie di stand-up comedian. E negli ultimi anni, quando era già vecchissimo, secondo me è stato più forte che nel resto della sua vita» .
Per questo il libro si intitola “Il vecchio più forte della terra”?
«Esatto: secondo me era importante anche farlo in questo momento in cui la vecchiaia viene data come uno dei grandi problemi che ci possono essere anche dal punto di vista sanitario. Il libro è divertentissimo perché la scrittura è piena di ironia ma anche di contenuti.
Perché per esempio, la storia che si intitola L’ultima mossa che racconta di un medico tedesco che fa il pittore e incomincia a eliminare i colori, in realtà racconta tutta l’esperienza dell’arte del ‘900. Il protagonista comincia a disegnare come Van Gogh e come Kirchner, poi come Munch e infine inizia a eliminare i colori, che era un po’ l’ossessione dell’arte contemporanea della metà del secolo scorso. Mi piaceva proprio anche l’idea di raccontare le cose riuscendo a mettere dentro degli elementi che non sono semplicemente autobiografici» .
E poi c’è la psicoanalisi
«L’episodio in cui interpreta Freud in Sogni d’oro di Nanni Moretti è quello in cui viene descritta meglio ma è presente in tutta la sua opera. Direi che la sua struttura culturale aveva proprio un debito forte con l’analisi» .
E la romanità?
«Ormai vivo a Roma da un po’ di anni e devo dire che la figura di Remotti qui è ancora presentissima e per me la sua influenza è stata così forte che una volta ho detto: “Quando muore Remotti voglio diventare lui”, infatti tutte le cose che ho fatto da un certo punto in poi hanno risentito moltissimo della sua influenza. La prima era stato lo spettacolo di Graphic Novel Is Dead ma poi ne ho fatti tanti altri, tra cui Graphic Novel Is Back che era veramente una macchina da risate.
Un altro era quello su Il cammino della cumbia e lo scorso anno uno spettacolo comico sul Covid di ben trenta date che era nato dalle strisce che facevo su Instagram e che ha pubblicato anche Robinson nel numero dedicato alla pandemia. Quindi questo libro non è solo un omaggio, ma anche un tentativo di far conoscere la figura di Remo Remotti a generazioni nuove» .
E sul disegno come hai lavorato?
«Ho cercato di ridisegnare il suo personaggio come lo faceva lui. E la moglie e la figlia se ne sono accorte».
Fare questo lavoro ti ha aiutato a capirlo ancora di più?
« C’era sicuramente una ricerca d’identità che per lui è stata molto delicata. Da ragazzo soprattutto, tanto che se ne è andato in Perù abbandonando Roma con il famoso scritto Mamma Roma addio! in cui mostra di aver sempre avuto una visione critica e allo stesso tempo ironica della realtà e anche contemporanea perché, se la riascoltiamo, non è cambiato quasi niente da quando Remotti se ne andò in Perù negli anni ’50. Purtroppo»
MIO PADRE UOMO LIBERO
Federica Remotti per “Robinson”
Quello che ci ha fatto Davide Toffolo è stato un regalo per noi bellissimo e inaspettato: è nato tutto molto spontaneamente. È stato proprio Davide a contattare me e mia madre, Luisa Pistoia, dicendo che per lui papà era stato un ispiratore, per cui stava lavorando alla trasposizione di alcune sue poesie in fumetto, cosa che mio padre non aveva mai fatto in questo modo nonostante disegnasse.
La cosa incredibile è che sia il tratto di Davide che la sua ironia, sono molto simili a quelle di Remo, per cui è stato veramente emozionante sfogliare quelle pagine, che mi sono sembrate come un passaggio di testimone tra generazioni.
Mio padre era un personaggio speciale: uno degli insegnamenti più importanti che mi ha lasciato è che “l’arte non ha etichette”. Lui, infatti, non amava dare una definizione a quello che faceva, voleva essere sempre semplicemente sé stesso: non ha mai fatto corsi di recitazione, semplicemente si è ritrovato a 50 anni a lavorare con Renato Mambor, un artista molto importante degli anni ’70, che faceva anche cinema e aveva fondato una compagnia teatrale. Un giorno Mambor gli propose di salire con lui sul palco per provare a recitare insieme e così iniziò tutto.
Un personaggio chiave poi, fu Nanni Moretti a cui devo tanto, anche la mia nascita! Perché è grazie a lui che i miei genitori si sono conosciuti: lei agente, manager di artisti e comici, e lui che iniziava a fare l’attore Finì così: lei non lo rappresentò mai, ma si innamorarono. Mio padre aveva conosciuto Nanni Moretti quandò andò a presentargli un monologo su Freud e sul rapporto con la madre che lui poi volle inserire nel film Sogni d’oro.
La psicoanalisi era qualcosa di molto, molto importante per mio padre, sulla quale come su tutto, volle ironizzare. In realtà, però, questa ironia celava significati molto profondi che riflettevano la sua stessa esperienza di vita: papà era stato tre volte in manicomio, cosa che non nascondeva assolutamente ma che, anzi, rivendicava con grande fierezza. Insomma, tutto in lui era dettato dalla passione che lo portava a prendere decisioni immediate.
Fu così anche per la pittura e la scultura: era laureato in legge e sua madre lo voleva avvocato ma sentiva un disagio e quando un amico gli disse che si era iscritto a una scuola d’arte, abbandonò tutto. Ciò che faceva era frutto di un moto immediato e spontaneo, essere artista per lui significava essere libero ed esprimersi con tutto quello che si ha a disposizione. Mio padre è come se avesse vissuto tante vite: nel suo primo libro, Ho rubato la marmellata, che si editò da solo, raccontava che era un sessantenne, scapolo che viveva con la madre e sembrava ormai avviato a una vita da pensionato.
Quando sua madre morì, due anni dopo, conobbe mia madre, si innamorò e a 64 anni divenne padre, cominciando a lavorare tantissimo. E praticamente iniziò una nuova vita. Ho avuto la fortuna di avere un papà speciale, il suo esempio mi dà molta energia nella quotidianità del mio lavoro perché penso che una persona può davvero essere artefice del suo futuro.
Oggi ho 32 anni e lavoro per l’agenzia di Spettacoli che mia madre Luisa Pistoia ha creato da quasi 40, la Sosia & Pistoia. Mi occupo di seguire giovani talenti, cercando di dare loro un’opportunità; che sia individuare il progetto giusto o creare il link con un produttore interessato. Convinta che dare una possibilità a nuovi artisti sia il modo migliore di portare avanti l’eredità di mio padre che all’arte, sotto qualsiasi forma, ha dedicato tutta la sua vita.
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