LA VENEZIA DEI GIUSTI – “ARIAFERMA” DIRETTO DA LEONARDO DI COSTANZO È UN SOLIDO, UMANO, RIGOROSISSIMO CARCERARIO DOVE DETENUTI E SECONDINI SI CONFRONTANO IN UNA SORTA DI CONTINUO DUELLO DOVE I PRIMI CERCANO DI CAPIRE FIN DOVE POSSANO ARRIVARE NELLO SPINGERE LA PAZIENZA DEI SECONDI ALLA RICERCA DI QUALCHE LIBERTÀ IN PIÙ – TERZO FILM ITALIANO INTERPRETATO DA SERVILLO, AVREBBE MERITATO FORSE L’INSERIMENTO NEL… – VIDEO

 

Marco Giusti per Dagospia

 

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“E’ brutta la prigione, eh?” fa Silvio Orlando detenuto a Toni Servillo, ispettore. “Tu sei in carcere. Io no”, gli risponde Servillo senza scomporsi. Ma in realtà sappiamo bene, da quando esiste il grande filone del cinema carcerario, un genere che ha le sue regole inflessibili e ha quasi sempre il suo fascino, che detenuti e secondini, almeno al cinema, fanno parte della stessa umanità.

 

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Girato nell’ex carcere di San Sebastiano a Sassari, che funge anche da meravigliosa scenografia, “Ariaferma” diretto da Leonardo Di Costanzo, che lo ha scritto con Bruno Oliviero e Valia Santella, fotografato da Luca Bigazzi e prodotto da Carlo Cresto-Dina, è un solido, umano, rigorosissimo carcerario dove detenuti e secondini si confrontano in una sorta di continuo duello dove i primi cercano di capire fin dove possano arrivare nello spingere la pazienza dei secondi alla ricerca di qualche libertà in più.

 

Costruito, come sempre fa Di Costanzo, su storie e personaggi della realtà, con un grande lavoro di documentazione e preparazione, trova ovviamente nel cast tutto al maschile e in gran parte napoletano, Toni Servillo come l’ispettore Gaetano Gargiulo, Silvio orlando come Lagioia, Sasà Striano come Cacace, Roberto Di Francesco come Buonocore, ma ci sono anche il sempre sorprendente Fabrizio Ferracane come secondino più duro e Pietro Giuliano come il giovane Fantaccini finito in galera per scippo, la sua vera forza.

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Attori che Di Costanzo e Bigazzi immergono in questo vero carcere fatiscente e pieno di dolore vissuto e dove ogni battuta suona provocatoria o può creare un problema. E dove ogni personaggio ha un suo effettivo valore. I dodici detenuti rimasti nel carcere in via di dismissione, osservati dai pochi secondini rimasti, protestano su tutto, ma soprattutto sul cibo. E allora Orlando chiede di poter cucinare direttamente lui nella cucina. Servillo accetterà, e sarà lui a osservarlo lavorare.

 

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Fra i due si stabilisce un confronto dove la distanza fra i due uomini sarà sempre più sottile, che è un po’ la sostanza umana del racconto e del progetto cinematografico, Servillo vs Orlando. Terzo film italiano interpretato da Servillo, qui, come negli altri due, “Qui rido io” e “E’ stata la mano del figlio”, bravissimo, avrebbe meritato forse l’inserimento nel concorso, ma certo sarebbe stato imbarazzante per Barbera presentarsi con tre film di Servillo in concorso. Uno dei tre era di troppo, insomma. Al di là del valore. Peccato. Ma è un ottimo film.

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Redazione Dagospia