“Sono assolutamente convinto che se ogni nazione sulla terra fosse gestita e governata da donne, il mondo sarebbe un posto migliore”. Ne è certo l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, che con queste parole nel 2019 fa un lungo elogio alle donne. Sono molte in realtà le leader che nel mondo hanno governato e talvolta cambiato la storia, a partire dalla cancelliera tedesca Angela Merkel o alla prima donna presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, senza dimenticare la “lady di ferro”, Margaret Thatcher. I vertici del potere in Italia, invece, sono ancora ad appannaggio degli uomini, ma molte sono le figure femminili che hanno lasciato un segno nella storia politica e istituzionale del nostro Paese. In occasione dell’8 marzo, ricordiamo alcune personalità fondamentali di ieri e di oggi.
Dal suffragio universale alla quasi elezione al Colle
In Italia fino al secondo Dopoguerra le donne non avevano neppure diritto al voto. Bisogna attendere il 2 giugno del 1946 per ottenere il suffragio universale, ovvero il voto esteso a chiunque avesse più di 21 anni di età, uomini e donne. In quella storica data, non solo viene esteso il diritto di recarsi alle urne, ma anche la possibilità di essere elette in tutti i livelli istituzionali. Poche sono le donne a sedere nell’emiciclo di Camera e Senato, ma con il passare delle legislature la situazione è andata via via migliorando con una presenza sempre maggiore, fino ad arrivare alle elezioni del 2013 con una quota femminile del 30,1% e a quelle del 2018 con 334 elette pari al 35%. Quattro le senatrici a vita: Camilla Ravera, Rita Levi Montalcini, Elena Cattaneo e Liliana Segre.
Tre le donne che hanno ricoperto la carica di presidente della Camera: Nilde Iotti in ben tre legislature (la prima volta nel 1979), Irene Pivetti (1992) e Laura Boldrini (2013), mentre per vedere la seconda carica dello stato al femminile bisogna attendere il 2018 con l’elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati. Bisogna arrivare al 1951 per un primo incarico di governo al femminile, si tratta di Angela Guidi Cingolani sottosegretario all’Industria e al Commercio, ma solo nel 1976 arriva la prima donna ministro, Tina Anselmi.
Mai invece una donna presidente del Consiglio, mai una donna Presidente della Repubblica. Per ogni nuovo settennato iniziano a circolare nomi per il Colle ma mai presi seriamente in considerazione, anche se mai come quest’ultima volta ci si è andati vicini con la candidatura (e bruciatura) di Maria Elisabetta Alberti Casellati e con il capo del Dis Elisabetta Belloni, a un passo dall’elezione. Insomma, tanti passi in avanti ma la strada è ancora lunga per una vera e propria parità di genere, almeno ai vertici delle istituzioni.
“Madre della Repubblica” Tina Anselmi, prima donna ministro
“Quando le donne si sono impegnate nelle battaglie le vittorie sono state vittorie per tutta la società. La politica che vede le donne in prima linea è politica d’inclusione, di rispetto delle diversità, di pace”. Parole mai così attuali quelle di Tina Anselmi, definita da molti la “Madre della Repubblica”, la prima ministra della storia italiana.
Nata a Castelfranco Veneto nel 1927 la Anselmi si impegna fortemente nell’attività sindacale prima nella Cgil e poi nella Cisl, democristiana, tre volte sottosegretaria fino alla nomina di ministra del Lavoro e della Previdenza sociale del governo Andreotti, il 29 luglio del 1976, data storica per l’Italia. Nel 1978 passa al ministero della Sanità approvando leggi rivoluzionarie: la legge 180 per l’assistenza della riforma psichiatrica, la legge che istituisce il Servizio Sanitario Nazionale, ma soprattutto firma (da profonda credente) la legge 194 per l’interruzione volontaria della gravidanza. Ricopre anche il ruolo di presidente della commissione inquirente sulla P2. Democrazia, diritti delle donne e ancora pace: “La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo. Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace”, diceva.
Nilde Iotti la “Reggitora”: Montecitorio diventa donna
“Uno dei coniugi poi, la donna, era ed è tuttora legata a condizioni arretrate, che la pongono in stato di inferiorità e fanno sì che la vita famigliare sia per essa un peso e non fonte di gioia e aiuto per lo sviluppo della propria persona. Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo politico, piena eguaglianza, col diritto di voto attivo e passivo, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina”. Ne è fortemente convinta Nilde Iotti, che dell’eguaglianza di genere fece un tratto distintivo di tutta la sua carriera politica. Leonilde, detta Nilde, figlia di un ferroviere e sindacalista e di una casalinga, nasce a Reggio Emilia il 10 aprile del 1920.
Insegnante, partigiana e figura di primo piano del Pci, nel 1979 diventa la prima donna a ricoprire la presidenza della Camera dei Deputati, per ben tre volte, e diventa anche la persona che rimane più a lungo in carica: 13 anni. In occasione della sua prima elezione a terza carica dello Stato, Federico Fellini la chiama la “Reggitora” riferendosi a lei come a una donna che sostiene, dirige e ha l’autorità e il peso del comando. Compagna della guida storica del Pci, Palmiro Togliatti, dedica tutta la sua vita politica all’emancipazione femminile e diventa protagonista delle più grandi battaglie in difesa delle donne, dall’eguaglianza sul lavoro, al suo ruolo all’interno del nucleo familiare con la promozione della legge sul diritto di famiglia, la sua partecipazione attiva in difesa del divorzio, il contributo per l’approvazione della legge sull’aborto.
Lina Merlin: la senatrice che abolisce le case chiuse
Un busto bronzeo a Palazzo Madama ricorda la prima donna eletta in Senato, Angelina Merlin detta Lina. Nata a Pozzonovo (Padova) nel 1887 è insegnante, antifascista, socialista eletta nel 1946 e il suo impegno per l’affermazione dei diritti delle donne è lunghissimo, a lei si deve il comma 1 dell’articolo 3 della Costituzione: Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. “La legge dello stato non deve tollerare il traffico della donne”, dice Merlin e infatti viene ricordata principalmente per le sue denunce sull’ipocrisia degli uomini religiosi che frequentavano le case di tolleranza e per la successiva legge 75/1958 con cui viene abolita la prostituzione legalizzata e vengono abolite le “case chiuse”. Protagonista anche della legge del 1963 che abroga la “clausola di nubilato” che consente il licenziamento delle donne in caso di matrimonio. A Lina Merlin si deve, inoltre, l‘abolizione del “nomen nescio” ovvero i “figli di n.n.” e l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale, la legge sulle adozioni che elimina le disparità di legge tra figli adottivi e figli propri.
Liliana Segre, dall’orrore di Auschwitz a senatrice a vita
“Prima, durante e dopo la mia prigionia mi ha ferito l’indifferenza, colpevole più della violenza stessa. Quella stessa indifferenza che ora permette che Italia e Europa si risveglino ancora razziste; temo di vivere abbastanza per vedere cose che pensavo la Storia avesse definitivamente bocciato, invece erano solo sopite”. Una adolescenza, quella di Liliana Segre, vissuta nell’orrore nazi-fascista e che proprio in questi giorni a causa della guerra in Ucraina sta rivivendo con “il rombo dei cannoni, case distrutte, le persone che piangono e muoiono”. Nata a Milano nel 1930, a soli 14 anni viene deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove le viene tatuato il numero di matricola 75190. Tra i 25 bambini italiani sopravvissuti ad Auschwitz, torna in Italia e per molti anni non ha mai parlato della sua esperienza nei campi di sterminio fino a diventare poi una instancabile testimone della Shoah soprattutto per le giovani generazioni. Il 19 gennaio 2018 viene nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e uno dei primi atti legislativi è quello di proporre l’istituzione di una Commissione parlamentare di indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza, della quale diventa presidente.
Casellati e Cartabia, presidenti di Palazzo Madama e Consulta
“Oggi la leadership femminile nelle istituzioni, nelle imprese e nel mondo del lavoro si sta affermando come una realtà solida e sempre più diffusa. Il percorso è stato lungo e non facile ma le esperienze e le conquiste ottenute anche grazie ad importanti interventi legislativi, non possono non farci guardare al futuro con fiducia”. Sempre al fianco di Silvio Berlusconi e figura di primo piano in Forza Italia, Maria Elisabetta Alberti Casellati, nata a Rovigo nel 1946, avvocato, senatrice, membro del Csm e per due volte sottosegretario di Stato, nel marzo nel 2018 viene eletta presidente del Senato, diventando così la prima donna a ricoprire la seconda carica dello Stato. Candidata al Quirinale nel gennaio del 2022 dalla sua coalizione, ma alla prova dell’Aula viene bruciata. Cattolica e conservatrice prende delle posizioni sulla legge 194 chiedendone una piena applicazione, anche e soprattutto “in difesa della vita umana”. Ferma oppositrice della legge che regolamenta le unioni civili, in occasione della Giornata mondiale contro l’Omofobia parla però di discriminazioni di natura sessuale intollerabili e indegne.
Un’altra prima volta al femminile, questa volta alla Corte Costituzionale, avviene l’11 dicembre 2019 con l’elezione di Marta Cartabia. Classe 1963 e originaria della provincia di Milano, è stata anche professoressa ordinaria di Diritto Costituzionale e giudice della Consulta, fino a diventare ministro della Giustizia del governo Draghi nel febbraio del 2021. Con la Carta costituzionale come “bussola” si trova oggi ad affrontare l’annosa questione della riforma della Giustizia ma la guardasigilli è stata anche tra i nomi più citati per la corsa al Quirinale.