Il nuovo tetto sulla temperatura dei condizionatori negli uffici pubblici va letto anche come un tentativo di limitare il consumo di gas. Oggi per come è pensato il sistema e per la natura degli accordi commerciali sul gas, non è possibile che la decisione di un singolo cittadino di ridurre i propri consumi abbia un effetto diretto sulle forniture dalla Russia. Per provare a cambiare le cose, un gruppo di esperti e politici si sta muovendo in parlamento e all’interno della società.
Se ne parla dall’inizio del conflitto in Ucraina e ora il limite fissato alla climatizzazione negli uffici rende più evidente la questione. Da quando è scoppiata la guerra e in attesa di una decisione del governo sull’embargo del gas russo, la partita per fermare le armi si gioca anche sulla diminuzione dei consumi energetici nel nostro Paese e sul rapporto economico che lega l’Italia a Mosca. O l’aria condizionata o la pace, insomma. Ma se i cittadini riducono o azzerano riscaldamento o condizionamento, la scelta ha davvero un impatto sull’import dalla Russia e quindi di riflesso sulla guerra in Ucraina? Non proprio. C’è bisogno di un’operazione trasparenza.
La situazione è questa: quando diminuiamo l’uso del condizionatore o del riscaldamento, non sappiamo esattamente se stiamo rallentando le forniture russe o le altre che governano il complesso mondo dell’approvvigionamento energetico. Quindi il cittadino non ha davvero il potere di decidere come sfruttare il proprio ‘tesoretto’ di rinunce sui consumi. Per fare in modo che l’utente possa usare l’autoriduzione come strumento di pressione politica ed economica è nata una battaglia civica, iniziata sul blog del giornalista Michele Governatori e portata avanti in Parlamento dal deputato Pd Andrea Casu. Ecco qual è la situazione.
No gas dalla Russia, la campagna per la democratizzazione energetica
“Il nostro autoridursi non corrisponde a una effettiva riduzione del gas che viene dalla Russia”, spiega ad upday lo studioso di energia e ambiente Michele Governatori, promotore della campagna con il suo blog Derrick Energia. “Oggi, come ha scritto anche l’Economist, i governi europei stanno sottovalutando incredibilmente la disponibilità civica dei cittadini ad accettare dei razionamenti energetici pur di sanzionare l’invasore”.
“Mi occupo di temi energetici e dall’inizio delle guerra ricevo tante email di persone che mi chiedono come possono fare per ridurre l’uso di gas russo attraverso azioni da consumatore. Purtroppo la risposta è che non c’è modo al momento. O meglio, rispetto alla crisi, ridurre i consumi è sempre una cosa intelligente e indirettamente sfavorisce anche Putin perché, in un contesto di scarsità del gas, meno lo si consuma meglio è. Comunque riduci la quantità rispetto a quello che vedremmo se tutti potessimo consumare il massimo, ma non c’è un vero controllo sull’autoriduzione”.
Il problema risiede nel tipo di contratti tra Italia e partner energetici come la Russia. “È la similitudine della vasca da bagno. L’Italia è la vasca che si riempie e il gas arriva da diversi rubinetti. Alcuni sono adatti a essere modulati, aperti e chiusi, perché hanno contratti ‘spot’, da altri rubinetti il gas arriva con contratti che sono scarsamente flessibili commercialmente. Non si può chiudere e non conviene. Pagheresti il gas anche se non lo consumassi. È questo il caso della fornitura dalla Russia, ma non solo, per motivi di scelte commerciali che risalgono a parecchi governi fa e che hanno caratterizzato gli accordi sul gas russo. Questo tipo di contratti, in gergo ‘take or pay’, funziona così: se tu consumi meno di quanto stabilito, comunque sei vincolato a pagarne il corrispettivo”.
Il potere dei cittadini nello stop al gas russo
“Ormai è chiaro che le sanzioni portate avanti sono eludibili e non hanno l’effetto sperato. L’economia russa è in difficoltà ma le sanzioni non stanno intervenendo a sufficienza”, prosegue Governatori. Come si fa quindi a renderle più forti? “Il governo o l’Autorità, noi abbiamo indicato l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), dovrebbero quantificare prima le disponibilità all’autoriduzione, magari tramite un sito dove i cittadini indichino quanto sono disposti a ridurre e poi tradurre l’indicazione in volumi in meno di gas dalla Russia indipendentemente dal contratto. Non sappiamo a questo punto cosa possa succedere. Nessuno degli esperti con i quali ho parlato mi sa dire cosa avviene se una delle due parti non rispetta il contratto, data la situazione anomala. Da qui può intervenire il governo”.
La domanda cruciale è poi quanti cittadini sarebbero davvero favorevoli all’operazione. “Una parte di popolazione sicuramente c’è. Com’è certo che essa non viene valorizzata e buttata via. Oggi non rinunci al gas russo se non riduci anche i consumi elettrici. Soprattutto d’estate, quando risparmi gas di fatto spegnendo i condizionatori. Noi continueremo a far crescere questa cosa, ma sono ottimista” conclude Governatori. Insomma, grandi speranze ma al momento sappiamo poco sulla reale volontà dei consumatori di autoridursi i consumi.
La battaglia in Parlamento: parla Andrea Casu
Il deputato Pd Andrea Casu si sta occupando di portare la battaglia del no al gas russo in parlamento. Di recente è stato accolto alla Camera l’ordine del giorno, presentato insieme alle colleghe Chiara Braga e Cecilia D’Elia, per impegnare il governo a sensibilizzare cittadini e utenti sul tema dell’autoriduzione dei consumi energetici, al fine di contribuire all’azzeramento di import del gas naturale proveniente dalla Russia.
“Chiediamo che venga consentito ai cittadini attraverso l’Arera, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente, di indicare la destinazione che vogliono dare alla propria autoriduzione – racconta Casu ad upday – Oggi è il gas russo, domani si può parlare delle rinnovabili, ma bisogna creare una democratizzazione delle scelte energetiche che coinvolga anche il parere diretto dei cittadini. Quando Putin dice ‘rinegoziamo il gas russo in rubli’, pone di fatto una rinegoziazione sui contratti attuali, e questo apre anche a diverse possibilità sugli accordi. Stiamo facendo in modo che questo tema cresca anche da un punto di vista istituzionale con un’azione politica più ampia. Per fermare la guerra dobbiamo capire che lo strumento più forte è quello dello stop al gas russo. Noi affronteremo in ogni sede parlamentare idonea il punto di vista dei cittadini che vogliono poter avere il diritto di rinunciare al gas russo. Stiamo lavorando per consentire loro di poter scegliere da dove viene l’energia che utilizzano. Il punto di vista dell’utente va tenuto in considerazione”.
Nella frase di Draghi sulla scelta tra l’aria condizionata e la pace si possono quindi leggere molte cose. Un’apertura alla possibilità di uno stop vero e proprio alla fornitura, con tutte le conseguenze possibili, e un vero e proprio ballon d’essai (la notizia diffusa ad arte per saggiare le reazioni dell’opinione pubblica) fatto volare sulle teste per capire quanto sforzo si possa chiedere ai cittadini. Al momento nessun rappresentante politico, non solo italiano, né l’Autorità per l’energia che per voce del suo presidente Stefano Besseghini al Corriere della Sera ha solo vagamente accennato agli scenari di riduzione dei consumi, sta spiegando chiaramente quali sarebbero le conseguenze di un embargo sul gas russo. Né tantomeno si sta testando veramente la capacità della popolazione di dire sì a questa misura pur di fermare la guerra o indebolire il Cremlino.