Contro ogni stereotipo di genere, sono sempre di più gli uomini che lavorano come assistenti familiari, al Sud quasi uno su tre. In controtendenza anche gli stipendi: il lavoro domestico è l’unico settore in Italia dove le donne guadagnano quanto i loro colleghi uomini, anzi in alcuni casi perfino di più.

In Italia le donne guadagnano in media fino a 550 euro in meno dei loro colleghi uomini: è il gender gap che affligge qualunque professione e posizione. Unica eccezione: il lavoro domestico. È questo il solo ambito in cui le donne sono pagate come gli uomini, anzi in alcuni casi perfino di più. E non perché non abbiano concorrenza maschile. Al contrario di quanto i luoghi comuni passano far immaginare, infatti, sono sempre di più gli uomini tra gli assistenti familiari, soprattutto al Sud. Lo rivela il terzo rapporto annuale Domina sul lavoro domestico, un settore che oggi in Italia coinvolge oltre 4,5 milioni di persone, tra datori di lavoro, assistiti, assunti regolari e lavoratori irregolari.

Chi sono i lavoratori domestici in Italia

Secondo gli ultimi dati Inps disponibili (2020), i lavoratori domestici in Italia sono oltre 920 mila, in aumento rispetto all’anno precedente (+7,5%). La maggior parte sono donne (87,6%) e stranieri (68,8% del totale). Di questi il 48,5% viene da Paesi extra-Ue e il 20,3% da Paesi Ue. Ma si tratta di numeri in evoluzione: negli ultimi anni è aumentata la percentuale di italiani e soprattutto la componente maschile.

Nella classifica dei Paesi di provenienza dei lavoratori domestici attivi in Italia, sia nella cura della casa (collaboratori domestici), sia nell’assistenza degli anziani o malati (badanti), l’Ucraina è ai primi posti (14,6% dei lavoratori stranieri), seconda solo alla Romania (24,8%). Subito dopo ci sono le Filippine con l 10,6%.

Un lavoro anche da uomini?

L’aumento di uomini in questo settore è un trend iniziato anni fa e poi diminuito subito dopo il picco del 2012 (192mila). Negli ultimi anni si sta però registrando una nuova crescita delle assunzioni maschili, ma con chiare specificità regionali. Oggi in Italia ci sono 114 mila lavoratori domestici uomini (12,4% del totale), ma di questi la maggior parte è al Sud. Nello specifico le città con la più alta presenza maschile sono in Sicilia: Palermo (28,4%) e Messina (26, 7%). Anche in Campania il fenomeno sta assumendo dimensioni rilevanti: a Napoli gli assistenti familiari uomini sono il 23% del totale. Quasi uno su tre.

Anche in questo caso la componente straniera è nettamente prevalente, oltre il 78% dei lavoratori.

La situazione fuori dai confini italiani conferma il trend: secondo il Rapporto ILO 2021 riferito ai dati del 2019, a livello globale i lavoratori domestici di sesso maschile sono 18 milioni, pari a quasi un quarto di tutti i lavoratori domestici. La percentuale più altra è stata registrata in Africa (31,6%) e nei Paesi arabi (63,4%).

Gender gap al contrario?

Sul fronte della retribuzione, le cose sono più complesse di quanto sembrerebbero suggerire i numeri. Stando ai dati Inps pubblicati nel 2019, le differenze interessano il settore dell’assistenza agli anziani: se il 40,6% delle donne badanti regolarmente assunte guadagnava meno di 5.000 euro annui, tra i badanti di sesso maschile la percentuale di lavoratori con salari annui sotto la stessa soglia saliva al 43,5%. Ma le differenze di genere diventano più concrete tra chi guadagna di più: se tra le donne una su 3 rientrava nella fascia di stipendio superiore a 10.000 euro annui, solo un maschio su 4 guadagnava altrettanto. In pratica il 31,6% delle donne contro il 25,3% degli uomini assunti.

Un problema irrisolto: il lavoro nero

Nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi anni, quello del lavoro nero continua a essere un problema per migliaia di persone impiegate in questo ambito. Il lavoro domestico è al primo posto – anche con un netto distacco – nella classifica dei settori con il più alto tasso di irregolarità. Ne 2019 questo era pari al 57% del totale, ovvero più della metà dei lavoratori: una percentuale ben al di sopra della media di tutti gli altri settori (12,6%).

Ciò rende difficile anche delineare un quadro definitivo del settore: i 920mila lavoratori registrati all’Inps rappresentano solo una faccia della medaglia, quella più tutelata.

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