Nell’ultimo decennio il numero dei bar è diminuito in modo consistente e fattori come la competizione e le bollette salate minacciano l’esistenza di molte imprese. Secondo Matteo Musacci, vice presidente di Fipe Confcommercio, bisogna ripensare il modello di business.
Da luogo privilegiato per la pausa caffè di metà mattina a punto di ritrovo per l’aperitivo. L’attività dei bar è da sempre in continua trasformazione e accompagna l’evoluzione dei modelli di consumo e della società stessa. Tuttavia, dal 2012 ad oggi il numero di questi locali è diminuito di circa 15 mila unità e in migliaia continuano a chiudere. Il risultato è che nemmeno uno su due riesce a rimanere aperto cinque anni e su 100 imprese che avviano l’attività, meno del 50% risulta ancora in attività dopo questo periodo.
Sono alcune delle considerazioni emerse nel corso della tavola rotonda “Le sfide del bar del futuro: qualità, professionalità e innovazione” che la Federazione italiana pubblici esercizi (Fipe) ha organizzato durante Sigep 2023, l’appuntamento professionale dedicato al gelato artigianale e all’arte del dolce in corso a Rimini.
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“Tenere aperto 7 giorni su 7 non è economicamente sostenibile”
L’incontro è servito ad esplorare un settore nel quale lavorano oltre 300mila persone con una forte diffusione territoriale – 9 comuni su 10 hanno almeno un bar – e con apertura 7/7 per una media di 14 ore giornaliere. Circa 12mila di questi locali (poco più del 12% del totale) sono gestiti da stranieri con percentuali che superano il 20% in Veneto e in Emilia Romagna.
“Stanno in questi numeri le difficoltà che attraversa il format bar, stretto nella morsa di una competizione sempre più sfrenata e di un modello di gestione che riesce a conciliare costi e ricavi solo attraverso enormi sacrifici personali di chi ci lavora, soprattutto se si tratta del titolare e dei suoi familiari”, dichiara Matteo Musacci, vice presidente di Fipe Confcommercio. “Tenere in piedi un’azienda che deve pagare stipendi, canoni di locazione esagerati e attualmente bollette fuori controllo, con caffè e cappuccini al prezzo di poco più di un euro sta diventando sempre più difficile. Se a questo aggiungiamo che anche muovere i listini per adeguarli all’inflazione è complicato, il rischio che i conti non tornino è evidente. Occorre ripensare il modello di business partendo dal presupposto che tenere aperto 7 giorni su 7 per oltre 14 ore al giorno non sempre è economicamente sostenibile. E aggiungo che non lo è anche guardando alla sfera personale di chi, come capita a molti di noi piccoli imprenditori, è costretto a garantire una presenza continua sacrificando vita personale e affetti”.
Fonte Agi