Il 31 maggio la cassa dei finanziamenti stanziati per coprire il Superbonus 110% è andata ufficialmente in rosso, con i costi dei lavori finora avviati che hanno superato le risorse messe a disposizione dal governo. Intanto, migliaia di aziende rischiano il fallimento perché i crediti sono ancora bloccati. Ad upday il punto di vista di Lorenzo Spallino, avvocato specializzato in diritto amministrativo e pubblica amministrazione.
Il punto sul Superbonus 110%
Ha avuto diversi meriti, in primis quello di rimettere in moto il mercato edilizio del Paese, ma ha innescato anche una serie di effetti collaterali, i cui esiti finali potrebbero essere visibili solo tra molti anni. Quella del Superbonus 110% è una storia di grandi promesse, ma soprattutto di stop obbligati e modifiche in corso d’opera: aggiustamenti pensati di volta in volta per rimediare a uno strumento che secondo il parere di molti tecnici porterebbe in sé fin dalla sua ideazione delle incongruenze strutturali impossibili da risolvere.
“La politica delle detrazioni fiscali nel settore edilizio – spiega l’avvocato Lorenzo Spallino – è riuscita nel suo intento di contrastare l’evasione fiscale, facendo dei bonus un incentivo ad avviare lavori regolarmente fatturati, che avrebbero rischiato invece di finire nel mercato nero. Ma nel caso specifico del Superbonus 110% ci sono diverse criticità da non sottovalutare”. Introdotto nel 2020 dal governo Conte II, il Superbonus 110% è stato pensato per sostenere le spese di ristrutturazione degli edifici residenziali a un costo vantaggiosissimo, ovvero attraverso un rimborso da parte dello Stato pari al 110% delle spese.
Una prospettiva così allettante che ad oggi son già finiti i fondi disponibili: l’Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) ha stimato che al 31 maggio i costi per i lavori ammessi finora all’agevolazione ammontano a 33,7 miliardi di euro, a fronte dei 33,3 miliardi stanziati dal governo, anche se il decreto legge Aiuti del 18 maggio ha prorogato la scadenza a fine 2022, a patto che al 30 settembre sia stato completato il 30% dell’intervento complessivo (la scadenza precedente era fissata al 30 giugno).
Il nodo dei crediti bloccati
La corsa alla detrazione fiscale ha creato un aumento eccezionale della domanda nel mercato edilizio con l’apertura di nuovi cantieri in tutta Italia da parte di privati e aziende. Non essendoci limiti di Isee, sono infatti migliaia le aziende che hanno richiesto e ottenuto il bonus, senza però mai aver ricevuto liquidità. Ma, nonostante il decreto Aiuti abbia provato a far ripartire i cantieri prevedendo la possibilità per gli istituti di credito di trasferire in ogni momento i crediti già acquistati ai propri clienti – e non dopo la terza cessione, com’era in origine – la situazione è ancora bloccata.
A questa congestione di crediti, si è aggiunta l’alterazione del mercato edilizio e l’altrettanto prevedibile impennata di prezzi. “A determinarla – spiega Spallino – è stata l’unione di due meccanismi perversi, ovvero da una parte la scarsa reperibilità di materie prime (anche a causa della guerra in Ucraina) e il loro aumento di prezzi, dall’altra l’aumento dei costi nel mercato edilizio dovuto all’aumento eccezionale della domanda di servizi legati al settore edilizio”.
Una concomitanza di fattori il cui prezzo più salato rischiano però di pagarlo le piccole e medie imprese: secondo un’indagine di Cna – Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa – sono oltre 60mila le imprese artigiane che vantano crediti verso lo Stato, ma senza aver ottenuto ancora nessuna liquidità. Il 48,6% del campione parla di rischio fallimento, mentre il 68,4% prospetta il blocco dei cantieri attivati.
Attenzione agli immobili illegittimi
“Dal punto di vista del diritto amministrativo e di chi si occupa di edilizia e urbanistica – spiega Spallino – i problemi sono sorti perché la norma è entrata in vigore senza considerare che il patrimonio edilizio su cui si interviene non sempre è perfettamente aderente ai titoli edilizi emessi nel corso degli anni”. Si tratta di un problema di non poco conto, in quanto “questi interventi sono stati pensati sia per immobili recenti, quindi perfettamente conformi, sia per immobili più datati. Per questi ultimi, infatti, a volte non è nemmeno possibile risalire ai titoli, e anche quando lo è, spesso si scoprono immobili con uno stato illegittimo. Basti pensare che prima del 1967 non c’era nemmeno l’obbligo di rilascio del titolo”.
I rischi per il futuro
Il Superbonus 110%, così com’è stato concepito, oltre a creare intoppi burocratici e rallentamenti, potrebbe inoltre generare rischi tecnici. “Anche nel caso in cui un privato o un’azienda abbiano ottenuto dal Comune il permesso ai lavori – avverte Spallino – tra qualche anno l’Agenzia delle Entrate potrebbe contestare lo stato dell’immobile come illegittimo, chiedendo indietro il beneficio, ovvero il bonus“. Questo perché tra il rilascio del titolo da parte del Comune, requisito indispensabile per richiedere il Superbonus, e il controllo da parte dell’Agenzia delle entrate possono trascorrere anche anni”.