La prima componente fondamentale del prezzo del carburante è il carburante stesso. Attualmente, stando al portale del ministero dello Sviluppo Economico che misura l’andamento dei prezzi medi in Italia, la materia prima pesa circa il 40% del prezzo finale alla pompa.
Il prezzo medio nell’ultima settimana in Italia di un litro di benzina senza piombo è di 1,750 euro. Il valore del combustibile è dunque di 70,66 centesimi al litro, meno della metà (il 40,4%). Per il gasolio, invece, il prezzo medio è di 1,613 euro al litro e il costo della materia prima è di 70,54 centesimi, il 43,7%.
La formazione del prezzo della materia prima combustibile è invece una questione economica e finanziaria abbastanza complicata. Si parte dai mercati delle materie prime, segnatamente da quello del petrolio, e poi si corre lungo tutta la filiera che passa per la raffinazione, la distribuzione e l’erogazione alla pompa del carburante, inclusi i guadagni dei gestori che, va ricordato, sono decisamente bassi rispetto al prezzo finale. Si parla, in media, di 3/4 centesimi al litro su cui poi ci sono da pagare naturalmente nuove imposte legate ai redditi da lavoro.Accise che non lo erano (più)
“Ogni volta che faccio benzina, pago ancora la guerra d’Etiopia di Mussolini”. Quante volte abbiamo detto o sentito questa frase? Il riferimento è alla famigerate ‘accise’, le imposte indirette che gravano sui beni di consumo. In questo caso, sul carburante. Ebbene, a livello popolare si ritiene che sul prezzo della benzina gravino ancora imposte ‘di scopo’, cioè elevate per finanziare particolari momenti o situazioni. Come vedremo a breve, questa cosa oggi non è più vera. Anche se, in un certo senso, non è nemmeno falsa.
Per decenni, infatti, lo Stato italiano ha sfruttato il crescente consumo di carburante per dare ossigeno alle sue entrate. Di solito in momenti di particolare bisogno economico come durante la crisi di Suez del 1956, il disastro del Vajont del 1963, l’alluvione di Firenze del 1966, il terremoto nel Belice del 1968, quello in Friuli del 1976 o quello in Irpinia del 1980. Ci sono state anche accise per finanziare missioni di guerra come in Libano nel 1982 o in Bosnia nel 1995. Piccoli balzelli di poche lire alla volta che, nel tempo, andavano a sommarsi e stratificarsi contribuendo a fare salire continuamente i prezzi alla pompa.Dal 1995, però, la disciplina delle accise in Italia è stata regolamentata da un Testo Unico. Quelle sul carburante, quindi, sono state di fatto ‘raggruppate’ in un’unica aliquota. Negli anni seguenti ci sono stati nuovi aumenti di questa imposta (per esempio dopo il sisma dell’Aquila del 2009) ma, tecnicamente, non si tratta di imposte di scopo perché, stabilisce il provvedimento del 1995, il gettito andrà a finanziare il bilancio statale nel suo complesso.
Dire quindi che paghiamo ancora oggi le spese per le truppe del regio esercito italiano che invase l’Etiopia nell’ottobre del 1935 non è corretto. Ma è innegabile come lo Stato italiano, nel corso dei decenni, abbia usato e continui a usare il carburante come grande fonte di entrate per le sue casse.
L’Iva, una tassa sulla tassa
La terza voce che va a comporre il prezzo del carburante è l’Iva. L’imposta sul valore aggiunto nella produzione di beni e servizi è la più nota nel panorama fiscale italiano. Nel calcolo dell’Iva sulla benzina concorrono sia il prezzo della materia prima al netto delle imposte successive (la famosa maxi accisa di cui abbiamo parlato al paragrafo precedente) sia al lordo.
Nell’ultima settimana, sul prezzo totale di un litro di benzina, le ‘tasse’ pesano per il 59,6%. Per il gasolio la percentuale è leggermente inferiore, 56,3%. In soldoni, se per fare il pieno alla tua macchina spendi 100 euro, quasi 60 vanno allo Stato.