Istituita dall’Arcigay nel 1988 per ricordare Alfredo Ormando, la Giornata mondiale del dialogo tra religioni e omosessualità è anche un momento per fare il punto sui passi avanti compiuti dalla Chiesa nei confronti delle comunità credenti LGBTQIA+ e di quanto c’è ancora da fare.
Il 13 gennaio del 1998 il poeta siciliano, Alfredo Ormando, a cui è dedicata l’odierna Giornata mondiale del dialogo tra religioni e omosessualità, si diede fuoco in piazza San Pietro in segno di protesta contro l’omofobia espressa dalle gerarchie vaticane. Il gesto estremo gli costò la vita, dopo dieci giorni di atroci sofferenze nell’ospedale Sant’Eugenio. Venticinque anni fa la Chiesa era diversa da oggi e ancora poco abituata a confrontarsi con le richieste che arrivavano dalla comunità gay. Il Vaticano, infatti, in un comunicato attribuì il gesto di Ormando a problemi di famiglia ma il poeta aveva lasciato uno scritto in cui affermava di desiderare la morte per sensibilizzare rispetto alla mancata accettazione dell’omosessualità da parte della Chiesa Cattolica.
“Chi sono io per giudicare un gay che cerca Dio?”
Era il 29 luglio del 2013 quando a bordo di un volo papale di ritorno dal Brasile con i giornalisti presenti, Papa Francesco, salito al soglio Pontificio da pochi mesi, disse: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla? Il catechismo della Chiesa cattolica dice che queste persone non devono essere discriminate ma accolte“. Parole che apparvero fortissime e che non furono le uniche perché in quell’occasione Bergoglio parlò anche ai divorziati risposati.
L’apertura di Papa Francesco nel 2020
In un documentario a firma di Evgeny Afineevsky e presentato alla Festa di Roma del 2020, per la prima volta il Pontefice ha ammesso che gli omosessuali dovrebbero esseri protetti da leggi sulle unioni civili. “Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo” ha detto Papa Francesco mostrando un primo forte segno di apertura. Parlando di unioni civili il Papa ha, però, posto da subito la netta distinzione con l’istituto del matrimonio e la conseguente composizione di famiglia intesa come quella composta da madre, padre e figli.
Un problema di religione
Non si tratta solo di una questione di diritti ma anche di religione. Prova sono i membri della Federazione Giovanile Evangelica in Italia che è storicamente molto attenta alle tematiche di giustizia sociale. In occasione della ricorrenza odierna del 2021, in una lunga nota pubblicata sul sito web della Federazione, i giovani hanno spiegato come sia importante oggi “dimostrare tanto che esistono cristiane e cristiani LGTBQIA+, quanto che c’è una comunità protestante pronta ad accogliere pienamente le persone queer”. L’organizzazione ha pensato anche di informare attraverso un progetto, “Il Giovedì Queer”, attraverso cui trasmettere un messaggio chiaro: esiste una comunità pronta ad accogliere perché non esiste un conflitto tra il cristianesimo e il fare parte della comunità LGBTQIA+.
L’incontro del Papa con una delegazione di cristiani omosessuali
Lo scorso settembre una delegazione di cristiani omosessuali ha incontrato Papa Francesco al termine dell’Udienza generale, si tratta degli appartenenti all’associazione La Tenda di Gionata, che riunisce i cristiani lgbt. Il Pontefice ha avuto modo di incontrare 110 persone tra gay e lesbiche ma anche i genitori di questi e operatori pastorali. L’associazione è nata nel 2018 su sollecitazione di don David Esposito, un prete prematuramente scomparso che pensava che le comunità cristiane sapessero “allargare la tenda” (Isaia 54) per fare spazio a tutti e diventare “sempre più santuari di accoglienza e sostegno verso le persone LGBTQIA+ e verso ogni persona colpita da discriminazione”. In rappresentanza del gruppo di pellegrini hanno incontrato il Papa don Gian Luca Carrega e Francesca, una lesbica cattolica che ha consegnato nelle mani del Pontefice le lettere di tanti cristiani del gruppo, alcuni in coppia da anni, e dei loro genitori.
La responsabilità della Chiesa
Le comunità rivendicano un diritto e ritengono che il Vaticano o la Chiesa in senso più ampio, abbiano una forte responsabilità dell’accogliere che non può venire a mancare. “C’è una responsabilità che la Chiesa deve saper collocare tra i principi cardine verso l’umanità tutta e sollevarsi ad un’espressione inclusiva autentica, non esclusiva e di esclusione. Deve saper cogliere quanto il mondo abbia prodotto in sapere, sostenendo chi tra le persone credenti LGBTQIA+ rivendichi l’appartenenza a spazi (in parte concessi) privati attraverso una reale riforma che apra innanzitutto ad un dialogo serio, restituito, che colga inequivocabilmente l’autenticità di ogni espressione del sentito umano” ha spiegato Daniela Lourdes Falanga, Segreteria Nazionale Arcigay a upday. Secondo Falanga “in un mondo in continuo e forte mutamento, dove la fede è spesso acquisita per eredità culturale affettiva, quindi profondamente incisiva nella vita di ogni persona che la sente, sarebbe auspicabile che si concepisse una responsabilità alta che finalmente sollevi necessità e diritti”.