Ispezioni interne per dimostrare di non aver avuto rapporti sessuali o la scelta di un intervento chirurgico per ricostruire la verginità artificialmente e non dover così subire le conseguenze negative della sua perdita. Succede all’estero, ma anche in Italia, dove alcune convinzioni radicate, la ricerca esasperata e le false nozioni sulla purezza sessuale generano pratiche violente, discriminatorie e in alcuni casi anche un giro di interessi economici.

Nel 2022 in molte parti del mondo resiste un mito, un fatto della vita idealizzato fino a essere distorto, che pesa moltissimo sulla condizione delle donne e sulla loro libertà. È quello della verginità sessuale pensata come imposizione o come culto da non violare. In diversi Paesi le donne devono dimostrare di essere vergini in molti casi: prima delle nozze, per poter lavorare o persino per arruolarsi nell’esercito (con alcuni progressi che riguardano per esempio l’Indonesia, l’Afghanistan e l’Egitto). Se non arrivano illibate a queste ‘prove’ e specialmente all’interno di famiglie particolarmente osservanti nei confronti della religione (islam, cristianesimo ed ebraismo condividono infatti il precetto della verginità prima del matrimonio), subiscono minacce, esclusione sociale, disonore e affrontano numerosi pericoli per la loro incolumità. Lo denunciano le principali associazioni a tutela dei diritti umani che negli ultimi anni hanno provato a contrastare il fenomeno.

Anche l’Italia non è immune, seppure con numeri bassi, e non lo è neppure l’Europa, nemmeno Milano e nemmeno Parigi. Accade persino in quelle realtà che negli ultimi sessant’anni hanno vissuto una profonda revisione del ruolo della donna all’interno della società. La verginità diventa uno strumento di violenza e di pressione con un paradosso doppio e denunciato da medici e ginecologi. La prova tangibile della purezza sessuale, ossia l’integrità di una membrana interna alla vagina chiamata imene, è sostanzialmente priva di basi scientifiche.

Test di verginità e imenoplastica: la verginità certificata e quella simulata

Sono due le conseguenze della richiesta esasperata di purezza sessuale. Il primo riguarda le violenze che subiscono le donne per dimostrare di essere ancora vergini, di solito prima di sposarsi. Il test di verginità è una prova richiesta dalle famiglie o dal futuro marito e avviene tramite un’ispezione intima mirata ad assicurare l’integrità dell’imene e il mancato rapporto sessuale.

Per sfuggire alla vergogna o ai pericoli di non arrivare vergini al matrimonio, alcune donne ricorrono poi all’imenoplastica, un intervento chirurgico che ha lo scopo di ricreare una verginità artificiale attraverso la ricostruzione dell’imene. Parliamo di situazioni nelle quali un’operazione di questo tipo è di fatto una scelta quasi obbligata e resta esclusa la situazione in cui sono le pazienti stesse a chiedere un ritorno alla verginità artificiale per scopi estetici o del tutto personali.

Dove vengono praticati i test di verginità nel mondo

Un elenco dei Paesi dove vengono effettuati i test di verginità comprende circa 20 territori tra i quali Bangladesh, Egitto, India, Indonesia, Iran, Giordania, Palestina, Sudafrica, Sri Lanka, Turchia, Uganda, Marocco, Brasile, Libia, Giamaica, Spagna e Belgio, come riportato da un documento congiunto diffuso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2018. Ma è un panorama non completo: c’è infatti una geografia del sommerso che comprende anche territori come l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna.

La richiesta di bandire i test, con lo scopo di cambiare anche il pensiero che ne è alla base, arriva da tante associazioni di donne e organizzazioni internazionali. In un appello globale per eliminare la violenza contro donne e ragazze, l’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), le Nazioni Unite e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) hanno affermato che la pratica “non necessaria dal punto di vista medico, e spesso dolorosa, umiliante e traumatica, deve finire ”.

Dall’altra parte concentrarsi solo sulla riduzione di simili test o interventi, ed è ciò di cui si discute pubblicamente in Francia, può esporre le donne a rischi ben peggiori. Test e operazioni potrebbero continuare a essere effettuati di nascosto, non più in sicurezza e senza più l’opportunità di confrontarsi con un medico o altre figure in grado di fornire gli strumenti o l’aiuto necessari per reagire contro l’imposizione. Infine simili interventi possono persino tutelare da conseguenze violente, ed è quello che accade a volte quando il medico decide di dichiarare per esempio il falso. Qualcosa sta comunque cambiando.

La Gran Bretagna ha deciso a gennaio di impegnarsi per vietare presto gli interventi chirurgici per ‘ripristinare’ la verginità. La decisione segue anche l’appello dei ginecologi inglesi riuniti nel Royal College of Obstetricians and Gynecologists (Rcog), che hanno chiesto da una parte di abolire i test di verginità e dall’altra di confutare un mito, quello dell’integrità dell’imene associato all’assenza di rapporto sessuale. In Italia invece il Covid-19 e le restrizioni sui viaggi hanno reso evidente un giro di richieste legate all’imenoplastica che prima veniva assorbito dai mercati esteri.

Imenoplastica in Italia, il chirurgo: “Boom di richieste con il Covid”

“L’imenoplastica – spiega ad upday la dottoressa Tullia Taidelli Palmizi, medico-chirurgo e specialista in chirurgia plastica ricostruttiva di base a Milano – è una ricostruzione della verginità in maniera chirurgica e non naturale, tramite il ripristino dell’imene all’interno della vagina. Il discorso è che questi interventi non dovrebbero fare parte della routine medica. Quello che vediamo, e che mi ha scioccato particolarmente in periodo Covid, è stato osservare per la prima volta una parte di pazienti provenienti dall’Italia e che in precedenza veniva spostata sul mercato francese”.

“Tradizionalmente – prosegue il chirurgo – questo tipo di interventi viene eseguito nelle comunità musulmane europee che risiedono per esempio in Francia. Ho chiesto ai colleghi e mi hanno risposto che per loro è routine, dato che la comunità locale ha la necessità di vivere questo simbolo di verginità attraverso l’intervento”. Anche in Italia però c’è una richiesta simile. “Nel nostro Paese c’è una tipologia di pazienti di questo tipo che però prima d’ora si rivolgeva solo al mercato francese e che rimaneva sommersa. Con il Covid e l’impossibilità di viaggiare, si sono rivolti a medici italiani e quindi il fenomeno si è visto in tutta la sua evidenza. In Italia non eravamo troppo consci del fenomeno”.

La tipologia di richieste, nell’esperienza della dottoressa, arriva soprattutto dal Sud Italia e da parte di donne nubili che stanno per sposarsi. “Sono rimasta scioccata dal vedere giovani nubili che dovevano sposarsi, tante dalla Sicilia, dalla Calabria, con casi dalla Sardegna, che si sono rivolte a me e non per motivi religiosi, dopo che i viaggi all’estero sono diventati difficili se non impossibili. Da marzo 2020 a settembre ho avuto dieci richieste. Sono tantissime, mai avute in vita mia. Si tratta di donne nubili che si stavano per sposare. La famiglia del marito richiedeva la visita ginecologica per dimostrare la verginità della ragazza. Parliamo di racconti agghiaccianti, di visite ginecologiche in presenza dei futuri suoceri e del futuro marito, durante la quale le donne vengono ispezionate per avere una prova effettiva della verginità. Chiedendo informalmente è venuta fuori una rete di ginecologi accondiscendenti e pronti a dichiarare il falso dietro pagamento. In altri scenari il ginecologo non permette l’ingresso dei familiari se non di parentela diretta e fa un referto fasullo. Le pazienti sono giovanissime, 19 o 20 anni, e sono terrorizzate all’idea di raccontare quello che succede loro”.

Ginecologi e studiosi: “La verginità basata sull’imene è un costrutto sociale”

Anche la comunità scientifica prova a dare il proprio contributo smontando miti e convinzioni che ruotano intorno all’imene e alla sua feticizzazione. Eugenia Tognotti è docente di Storia della Medicina e Scienze Umane all’Università di Sassari ed è l’accademica italiana che si è unita all’appello dei ginecologi inglesi del Royal College of Obstetricians and Gynecologists (Rcog). Una sua lettera sull’argomento è stata pubblicata sul British Medical Journal.

“Mi aveva molto colpita – racconta ad upday – la richiesta del Royal College of Obstetricians and Gynocologists, l’organismo che rappresenta ostetrici e ginecologi britannici. Si rivolgeva in modo accorato ai responsabili della sanità pubblica, per chiedere di bandire i test di verginità usando l’argomento dell’infondatezza delle basi scientifiche di una verifica dell’integrità dell’imene, che comporta una visita medica imbarazzante e invasiva”.

“Nonostante la radicata convinzione – continua – seppellita da stratificazioni sociali, morali e simboliche lungo i secoli, l’integrità dell’imene non rappresenta affatto un’evidenza affidabile di verginità. Lo aveva sostenuto già nel XVI secolo il grande anatomista fiammingo Andrea Vesalio sulla base delle sue ricerche che lo portarono a descrivere per la prima volta l’imene come una membrana che circonda l’apertura esterna della vagina. Avendo però scritto che ‘un imene intatto era una prova apprezzabile di verginità’ , ha creato un inossidabile mito rimasto pervasivo per secoli e ancora vivo”. L’accademica sottolinea la persistenza di una teoria sostanzialmente errata. “Il fatto che nel cuore del XXI secolo – e  non in paesi come l’Afghanistan, per dire – ma nel nostro avanzato mondo occidentale persista – a dispetto dell’avanzamento della conoscenza –  una teoria palesemente sbagliata, la dice lunga sulla ‘congiura’ delle culture che ha portato alla feticizzazione dell’imene”.

Detto questo, la politica dovrebbe fare di più? “I segnali di una presa di coscienza collettiva non mancano, anche se la Francia è divisa sul disegno di legge del governo che propone di vietare i certificati di verginità e di perseguire penalmente i medici che continuano a rilasciarli. Resta il monito dell’ Organizzazione mondiale della Sanità che ha invitato i governi di tutto il mondo a vietare i test di verginità, affermando che la procedura ‘viola diversi diritti umani e standard etici, incluso il principio fondamentale della medicina di non fare danni’. Cosa che non si può dire, aggiungo, di un test traumatico e aggressivo che non tende a verificare una condizione di salute e a predisporre, eventualmente, una cura, ma solo a perpetuare un falso mito che implica una certa visione del corpo e della sessualità delle donne”.

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