Dopo il no al referendum sull’eutanasia legale, la Consulta si esprime su giustizia e depenalizzazione della coltivazione di cannabis. Sulla cannabis il quesito non passa, mentre 5 quesiti sulla giustizia su 6 vengono giudicati ammissibili. Bocciato quello sulla responsabilità civile dei magistrati. .
Mercoledì 16 febbraio la Corte costituzionale non ha ammesso il referendum sulla depenalizzazione della coltivazione della cannabis. Lo ha annunciato il presidente Giuliano Amato in conferenza stampa a Palazzo della Consulta.
Diversa la decisione su cinque dei totali sei quesiti riguardanti la giustizia. Su incandidabilità, misure cautelari, separazione funzioni, elezione togati Csm, la Corte ha invece dichiarato l’ammissibilità dei quesiti referendari. Considerato invece inammissibile il referendum su responsabilità civile magistrati.
I quesiti approvati “sono stati ritenuti ammissibili perché le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario”, si legge in una nota.
Martedì 15 febbraio la Corte costituzionale non aveva ammesso il referendum sull’eutanasia promosso dall’associazione Luca Coscioni. Dopo un’intera giornata di lavoro, i giudici della Consulta avevano fatto sapere in una nota che il quesito, che aveva lo scopo di depenalizzare l’omicidio di un consenziente, non tutela a sufficienza la vita.
Il quesito bocciato: il tema dell’eutanasia
Secondo la Corte costituzionale, in caso di approvazione del referendum “non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana”, come ha spiegato una nota dell’ufficio stampa della Corte stessa, della cui sentenza si attendono ora le motivazioni.
Il quesito voleva abrogare una parte dell’articolo 579 del codice penale, facendo sì che non fosse più punibile chi interrompe la vita di una persona consenziente. Questo avrebbe consentito la cosiddetta eutanasia attiva, cioè la somministrazione da parte di un medico di farmaci pensati appositamente per far morire il paziente.
A inizio febbraio sul sito internet del comitato organizzatore era apparsa una lista di 101 nomi di grandi personalità che chiedevano di poter passare al voto popolare. Tra queste vi sono il fisico premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, la scrittrice Dacia Maraini e il teologo Vito Mancuso.
La decisione della Corte costituzionale mette una pietra tombale alla possibilità di votare a breve su questo tema.
I sei quesiti sulla giustizia
Il pacchetto più corposo degli otto quesiti analizzati dalla Corte vuole toccare il sistema della Giustizia. La campagna referendaria è stata promossa da Radicali e Lega. I quesiti chiedono una maggior responsabilità per i magistrati, una riforma del Consiglio superiore della magistratura (il Csm, cioè l’organo autonomo che governa la magistratura) e una revisione della custodia cautelare, ossia del carcere per chi è ancora in attesa di una sentenza.
Uno degli obiettivi dichiarati è quello di contribuire allo svuotamento delle carceri, i cui detenuti sono per circa un terzo ancora in attesa di giudizio. L’idea generale – come ha spiegato ad upday Igor Boni, presidente dei Radicali italiani – è quella di dare “impulso a una stagione di riforme“.
Tra i quesiti presentati c’è anche l’abolizione della legge Severino, che prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i politici eletti che ricevono una condanna. Secondo i promotori del referendum, la legge Severino ha avviato “una cultura giustizialista tossica”. Il referendum chiede anche la separazione delle carriere dei magistrati. Se si votasse a favore di questo quesito un magistrato con funzioni giudicanti non potrebbe più diventare inquirente (cioè pubblico ministero) e viceversa.
Uno dei quesiti voleva inoltre introdurre la responsabilità civile dei giudici, che sarebbero stati chiamati a pagare di tasca propria in caso di errori giudiziari, ma è stato l’unico bocciato.
La sovrapposizione con la riforma
I sei quesiti in questione sono stati presentati proprio mentre il Parlamento discuteva della riforma della giustizia (cosiddetta riforma Cartabia). Esiste una parziale sovrapposizione dal momento che anche la proposta di riforma vuole modificare il Csm. La riforma peraltro è stata giudicata positivamente dal Parlamento e inizierà il suo iter verso l’approvazione proprio domani.
Secondo il Partito democratico deve essere il Parlamento a discutere sulla riforma, e anche il senatore Pietro Grasso ha dichiarato che una sovrapposizione tra discussione parlamentare e voto popolare impedirebbe una buona riuscita dei referendum. Al contrario, la senatrice leghista Giulia Bongiorno ha detto che la volontà popolare servirà a “scuotere il timido approccio del Parlamento su temi di grande interesse”.