COME HA FATTO SHMUEL PELEG, IL NONNO MATERNO DI EITAN, A PORTARE IL BIMBO IN ISRAELE? LE STRADE SONO DUE: C’È L’IPOTESI CHE IL JET PRIVATO, PER AGGIRARE SCHENGEN E PERMETTERE CONTROLLI PIÙ BLANDI, ABBIA INDICATO COME PIANO DI VOLO UN PAESE EUROPEO PER POI VOLARE FINO IN ISRAELE. UN PIANO DIFFICILE CHE RIPORTA A GALLA IL PASSATO NELL’INTELLIGENCE ISRAELIANA DI PELEG – DALL’ALTRO POTREBBE ESSERCI UN ERRORE NELL’INSERIMENTO DEL NOME DEL PICCOLO NEI DATABASE PER IL DIVIETO DI ESPATRIO – LA FAMIGLIA IN ISRAELE: “IL BIMBO VA EDUCATO SECONDO LA TRADIZIONE…”
1 – «EITAN NON POTEVA PARTIRE» IL VOLO DEL NONNO È UN CASO
Giuseppe Scarpa per “il Messaggero”
Come ha fatto Shmuel Peleg, il nonno materno di Eitan Biran, unico superstite della strage del Mottarone, a portare il nipote di sei anni in Israele? È quasi impossibile superare i controlli di sicurezza in Italia e sbarcare tranquillamente in uno scalo dello stato ebraico. Soprattutto se il nominativo del minore è inserito, come richiesto dal giudice dopo il 30 agosto, nei database delle forze dell’ordine perché esiste un fondato pericolo che venga fatto espatriare. Una decisione che il magistrato ha preso dopo che il nonno materno si era rifiutato di consegnare il passaporto israeliano alla tutrice italiana, Aya Biran-Nirko, la zia paterna del piccolo. Inoltre Aya Biran sostiene che Peleg sia stato condannato in patria per maltrattamenti all’ex moglie.
IL PIANO Secondo le prime ricostruzioni l’uomo sarebbe partito con un aereo privato dal nostro Paese. Le ipotesi su come questo sia potuto avvenire sono due. E si muovono su binari opposti. Da un lato la noncuranza, la svista clamorosa. Dall’altro un piano rischioso per aggirare Schengen. Iniziamo da quest’ ultimo. Nei voli privati, come in quelli di linea, per recarsi nei Paesi fuori dall’area Schengen è necessario esibire il passaporto. Tel Aviv, ovviamente, non fa eccezione. Per aggirare il problema, ufficialmente l’aereo privato indica come meta finale, nel suo piano di volo, un paese europeo. La Grecia o Malta, ad esempio. In realtà, durante il tragitto, il velivolo tira dritto e va su Israele. Il grosso vantaggio di una simile operazione è che a terra, in Italia, i passeggeri che sarebbero dovuti andare ad Atene o a La Valletta, non hanno dovuto superare i controlli severi che vengono eseguiti quando si tratta di andare in Paesi extra Schengen.
Nessun esame del passaporto ma una verifica più blanda che incrocia la carta d’identità e il biglietto. Un piano del genere, però, per poter essere realizzato deve contare su appoggi rilevanti. A questo punto tutti i sospetti su un eventuale passato nell’intelligence israeliana di Shmuel Peleg troverebbero, in un progetto di questa portata, delle conferme. L’altra ipotesi riguarda un errore che si sarebbe già verificato in passato.
L’ERRORE Capita che i giudici, nel momento in cui dispongono un divieto di espatrio, non indichino una questura a cui è assegnato l’incarico di inserire materialmente, nell’apposito database, il nominativo del soggetto indicato. Il magistrato fa riferimento alle forze di polizia in generale. Ecco che alla fine nessuna questura o comando si sente investito del compito di doverlo fare con il risultato che nei terminali degli agenti alla frontiera non scatta nessun tipo di alert. Si sono invece dimostrate non verificabili le voci che ipotizzavano l’uso di un aereo di linea con scalo intermedio prima di arrivare in Israele.
IL TAMPONE Ma qualunque sia stato il tragitto, sul tavolo restano molti punti da chiarire. C’è anche la questione del tampone per il covid. In base alle norme attuali per l’ingresso nello stato ebraico è tassativo un tampone Pcr negativo eseguito non oltre le 72 ore precedenti. Perciò Eitan, come il nonno Peleg, avrebbe dovuto farlo e con anticipo rispetto al viaggio poi effettuato per essere in grado di entrare in Israele. Infine è un mistero anche dove il bambino si trovi attualmente, visto che la zia materna Gali Peleg in una intervista alla radio israeliana non ha risposto ad una domanda posta in tal senso.
2 – LA RACCOLTA FONDI, POI IL BLITZ «IL BAMBINO VA EDUCATO SECONDO LA TRADIZIONE»
Davide Frattini per il “Corriere della Sera”
La Renault rossa resta nel piazzale davanti a casa dove Etty l’ha parcheggiata in primavera. Dice di non riuscire a spostarla, non se la sente di restituirla al concessionario – è ancora nuova – significherebbe lasciare uno spazio vuoto sull’asfalto ad allargare quello che nella sua vita sembra impossibile riempire. La nonna materna aveva incontrato Eitan alla fine di agosto, una delle visite previste dal tribunale italiano, un abbraccio – aveva raccontato allora al quotidiano Israel Hayom – «monitorato da una videocamera piazzata sul televisore da Aya», la zia paterna che adesso da Pavia accusa Shmuel Peleg, il nonno ed ex marito di Etty, di aver rapito il piccolo nel pomeriggio di sabato. Quello sul futuro del bambino di sei anni sembra diventato anche uno scontro tra culture, ideologie, tra quelle che lo scrittore Etgar Keret chiama «le tribù di Israele».
Ne accennava la stessa Etty nell’intervista al giornale locale: «Mia figlia Tal soffriva per i rapporti con la famiglia di Amit, si sentiva sottovalutata. Non so per quale ragione ci disprezzino, forse perché noi siamo sefarditi». Come a dire, è la vecchia storia: gli ashkenaziti – la cosa più vicina a un’aristocrazia in una nazione nata e cresciuta socialista – guarderebbero con la loro «alterigia europea» gli immigrati dai Paesi arabi, importatori di altri modi, abitudini, attitudini. Differenze anche politiche: «Non ho mai nascosto le mie idee di destra», proclama Etty sottintendo che i Biran stanno dall’altra parte. Così l’orgoglio di volere che Eitan cresca in Israele – «Tal e Amit avevano deciso di tornare a vivere qui l’anno prossimo, per questa ragione avevo comprato l’auto» – e di impedire che vada in una scuola cattolica: «Deve essere educato senza dimenticare la tradizione del popolo a cui appartiene».
Così l’orgoglio di elencare – come forse ha fatto tante volte alle cene tra le due famiglie – i successi dei figli: Tal che stava per laurearsi in psicologia, Guy che fa il manager all’El Al (la compagnia aerea di bandiera), Gali che lavora per una società di consulenza finanziaria, Aviv che comincerà a studiare legge. Cinque anni fa Etty si è risposata con un ex marine conosciuto in Alaska, vivono a Ramat Aviv, sobborgo elegante a nord di Tel Aviv. In contrasto con l’immagine presentata in Italia e sulle tv israeliane di difficoltà economiche nel sostenere la battaglia legale. Durante l’estate la famiglia ha lanciato alcune raccolte fondi per pagare le spese e i viaggi tra Pavia e Torino.
Quella attraverso Gius Mehalev (in ebraico «reclutamento dal cuore») «è stata interrotta dopo aver raggiunto la cifra prefissata, mezzo milione di shekel» (oltre 130 mila euro) spiega Noa Harish, la fondatrice del sito di crowdfunding. È stato nonno Shmuel – in passato condannato per maltrattamenti contro Etty – a gestire le operazioni, si era trasferito in Italia dopo l’incidente sul Mottarone.
Mentre la secondogenita Gali ha continuato da Tel Aviv a essere la portavoce dei Peleg: «Lo abbiamo riportato a casa – ha dichiarato ieri -, Aya non ha una vera relazione con lui. Quando ci ha visto, Eitan ha urlato per l’eccitazione e ha detto che finalmente era in Israele». Non spiega come ci sia arrivato, se il nonno lo abbia imbarcato su un jet privato – di sabato i voli di linea verso il Paese sono quasi inesistenti -, se qualche organizzazione li abbia aiutati, gruppi ultranazionalisti come Lehava che combattono qualunque forma di assimilazione degli ebrei, dai matrimoni misti all’educazione dei bambini.
LA FAMIGLIA DISTRUTTA SULLA FUNIVIA eitan I genitori di Eitan tal peleg amit biran e i figli tom e eitan Ultima foto con Eitan Un pelouche per Eitan eitan unico sopravvissuto del mottarone