Nel 2020 un T-Rex battuto all’asta a 32 milioni di dollari ha acceso i riflettori su un tipo di mercato che esiste dagli anni Novanta ma che solamente negli ultimi anni ha raggiunto la sua maturità, anche in Italia. Stiamo parlando del collezionismo di fossili di dinosauri, una passione che porta a spendere cifre folli per esporre in salotto la testa di un triceratopo, ma anche a prestare i propri tesori ai musei di tutto il mondo.
Un’attrazione primordiale
Spielberg li ha ripotati in vita con Jurassic Park, i parchi a tema hanno provato a farlo attraverso ricostruzioni in 3D. Da sempre il pubblico è affascinato da questi “animali” imponenti, che non abbiamo mai conosciuto ma della cui esistenza ci sono prove tangibili. “Chi non ha visto un film della saga di Jurassick Park?”, domanda retoricamente Alexandre Giquello, maître e banditore della casa d’aste Binoche et Giquello di Parigi. “Le persone amano i dinosauri perché l’animo umano ha paura di ciò che è più grande di lui. Chi acquista un dinosauro non deve avere alcuna cultura a differenza di chi, ad esempio, compra un quadro del 1600 fiammingo, che lo fa perché conosce la storia di quella pittura. Davanti a un dinosauro un bambino di otto anni ha lo stesso sentimento di un padre di famiglia di 70 anni. Si tratta di pura bellezza brutale della natura“.
Questo fascino, unito alla possibilità di spendere cifre da capogiro, alimenta il collezionismo di fossili di dinosauro. Un osso, la testa, addirittura lo scheletro completo. Si tratta di un tipo di mercato che esiste dagli anni Novanta, è arrivato in Europa dagli Stati Uniti e negli ultimi quattro anni ha raggiunto l’apice della sua maturità, prima in Francia e poi anche in Italia.
Tra gli esemplari venduti da Giquello ci sono stati due allosauri, battuti a 1,5 e a 3 milioni e un triceratopo venduto quest’anno, a 6,6 milioni, un esemplare di circa 700 chili, soprannominato Big John e composto per il 75% da ossa originali. Una delle caratteristiche obbligatorie per i fossili in vendita è infatti quella di avere più del 50% della struttura originale. Il resto viene ricostruito in resina. Fossili originali al 100% sono praticamente inesistenti: “Spesso mancano i piedi e la coda e, ogni tanto, un pezzo di spalle o di testa”, dice Giquello. Una cosa oggi vietatissima, precisa l’esperto, è quella di unire resti di esemplari diversi, ottenendo un dinosauro composito.
I fossili italiani sono illegali
I fossili di dinosauri in commercio provengono da Paesi in cui i reperti archeologici non appartengono allo Stato. In altri, come in Francia e in Italia, qualsiasi reperto trovato nel sottosuolo o in superficie è di proprietà statale “a meno che il reperto non sia ereditato da qualcuno che l’aveva acquisito prima dell’entrata in vigore della legge”, precisa Giorgio Carnevale, presidente della Società paleontologica italiana. In Italia la prima legge a disciplinare in maniera organica la materia fu la 364 del 1909.
Un cittadino italiano, perciò, può acquistare un fossile di dinosauro solamente se il reperto proviene da un Paese in cui la legge permette di appropriarsene privatamente. “Negli ultimi anni ci sono stati vani tentativi di rendere meno rigida la legge per quei fossili più comuni il cui valore estetico e scientifico non è così rilevante, ma appropriarsi di un reperto in Italia comporta ancora un provvedimento punitivo, ad esempio multe proporzionali al valore del fossile”. C’è anche chi, racconta l’esperto, piuttosto che consegnare allo Stato italiano ciò che trova, preferisce distruggerlo in base a un malinteso senso di possesso.
I resti di dinosauri, comunque, non sono presenti nel nostro Paese in grande abbondanza, dal momento che nel Giurassico e nel Cretaceo buona parte del territorio della Penisola era ricoperto dalle acque. Non mancano però gli esempi famosi, come il dinosauro Ciro, scoperto in provincia di Benevento e perfettamente conservato in una lastra calcarea. “La maggior parte dei fossili provengono da Asia centrale, Nord America, Canada, Cina, Mongolia, India, Russia e Tanzania, ma si trova qualcosa anche in Europa”, dice Carnevale.
Dallo scavo alla vendita
Alexandre Giquello spiega di essere “l’ultimo anello della catena” nel mondo del commercio di fossili di dinosauri, perché ad occuparsi di portarli alla luce sono imprese specializzate. Altre volte i venditori sono direttamente impegnati negli scavi, com’è stato in passato per Luca Cableri, proprietario della galleria Theatrum Mundi ad Arezzo. “Negli Stati Uniti – racconta – si fa una licenza con il proprietario terriero, solitamente in vasti territori dove i prezzi sono bassi. Poi si cercano i fossili perlustrando il terreno. A iniziare a scavare è un paleontologo, che prova a capire di che dinosauro si tratta e quanti resti potrebbero esserci”.
I pezzi che si trovano scavando sono sottoposti a un lavoro di finitura per liberare le singole ossa dai detriti. In seguito si conteggia ciò che manca e si fa quindi la cosiddetta bones map (la mappa delle ossa), che indica le ossa originali e quelle che verranno ricostruite”.
Ad occuparsi della preparazione paleontologica, cioè dell’assemblaggio e della ricostruzione dei resti, sono laboratori specializzati, come il triestino Zoic, che negli ultimi anni ha anche introdotto i propri dinosauri nel mercato delle aste. “È il caso di Big John”, spiega Iacopo Briano, esperto di scienze naturali e di paleontologia e direttore del dipartimento di storia naturale della Casa d’aste Cambi. “Insieme al mio collega Alessandro Ferrada cerco sul mercato esemplari di dinosauri, di cui ci rifornisce Zoic e organizzo cataloghi di vendita offerti ad aste sia Milano che a Parigi”.
Quanto costa un dinosauro
“Da quando un T-Rex è stato venduto per 32 milioni, le cose sono cambiate”, racconta Luca Cableri. “Se prima un singolo dente si vendeva a circa 3.000 euro, ora lo si vende anche a 30mila. I prezzi sono lievitati, sia per noi commercianti che per il cliente finale”. Ma il motivo non è la scarsità dell’offerta. “C’è un detto nel Wyoming secondo cui ci sono più scheletri nel terreno che persone che vivono nel Wyoming stesso. Tutti pensano che i dinosauri siano rari, ma hanno vissuto per 250 milioni di anni sulla Terra”.
Le cause del rialzo dei prezzi, secondo Alexandre Giquello, sono semmai dettate dal mercato stesso: “È una competizione tra super ricchi. I clienti hanno sempre più soldi da spendere”. Si tratta di persone anche giovani, imprenditori o professionisti nel mondo delle nuove tecnologie che non temono di mettere mano al portafogli. “Un fossile di dinosauro completo è la punta di diamante di questo mercato”, spiega Iacopo Briano. “Abbiamo lotti che partono anche da 200, 300 euro per quanto riguarda fossili interessanti ma non rari. Il dinosauro completo più economico invece parte da 2 o 300mila euro, ma arriviamo anche a decine di milioni di euro, come nel caso di Big John, il triceratopo. Senza contare le ingenti spese di trasporto: nel caso di Big John, 130mila euro“.
Tra le specie di dinosauri più gettonate ci sono i grandi carnivori o quelle molto conosciute, “come il T-Rex, il triceratopo o l’allosauro, figure iconiche che tutti conoscono e ricercano”, dice Briano. “Normalmente sono anche quelli che ricevono offerte maggiori nelle aste, ma negli ultimi anni i collezionisti si sono interessati anche di specie meno impegnative dal punto di vista logistico, perché sono esemplari piccoli e rari, che possono essere integrati in ambiente domestico“. Non parliamo naturalmente di miniappartamenti di città, ma di tenute molto grandi, di ville o castelli: “Un dinosauro completo ‘piccolo’ varia tra i tre e i cinque metri, ma si arriva anche a più di dieci metri per quelli più grandi”.
Per altri clienti, spiega Cableri, il dinosauro è invece uno status symbol, da sfoggiare nei propri uffici, oppure all’ingresso di un albergo o di un centro commerciale per stupire i clienti: “Per alcuni comprare questi oggetti equivale a giocare con le figurine“. Talvolta gli scheletri vengono anche noleggiati in occasione di qualche mostra, ma con budget sempre più risicati. “La maggior parte dei dinosauri nei musei è finta. Lo capisci perché lo scheletro non ha sostegni. Un fossile vero è pesante, è praticamente pietra”, aggiunge Cableri.
La competizione tra privati e musei
Il costo ormai stellare dei fossili di dinosauri è un problema per le istituzioni pubbliche, che hanno la capacità di spesa dei privati. Tuttavia, molte case d’aste si sono date un regolamento interno, almeno in caso di fossili mai studiati prima. “Se si tratta di una specie nuova e sconosciuta – racconta Briano – non mettiamo l’esemplare in vendita e ci occupiamo di trovare un mecenate che possa investire nel restauro e nel recupero dell’oggetto, ma sempre con destinazione museale. In questi casi l’interesse scientifico supera quello commerciale“.
Lo stesso sostiene Giquello: “È una delle nostre regole d’oro: mai passare all’asta pubblica un animale che ancora non è conosciuto“. Pur non essendo visti di buon occhio dai responsabili dei musei, i privati finiscono insomma per esserne i primi finanziatori. “Quasi tutte le collezioni nei musei, anche quelle di opere d’arte, sono state finanziate attraverso iniziative private“, spiega l’esperto francese: “Lo Stato purtroppo non ha più soldi. Un triceratopo dieci anni fa si vendeva a 500mila euro, ormai ne ha fatti 6,6 milioni e i musei sono fuori dalla competizione. A volte è lo stesso museo che è interessato a un dinosauro e ci chiede di trovargli un mecenate”. Del resto, anche per chi scava donare direttamente i fossili è insostenibile economicamente, visto che solo portare alla luce i resti gli esemplari più grandi può costare centinaia di migliaia di euro.
Per ora, gran parte dei privati che spendono in questo mercato sono comunque veri appassionati del settore, ma non è detto che le cose rimangano così: “La vendita di Big John ha avuto molta copertura mediatica e può essere che gli investitori in futuro si interessino per un motivo puramente economico”, ipotizza Giquello. Già adesso, in ogni caso, gli interessati non mancano: “In questo momento – dice Iacopo Briano – ho più clienti che esemplari di dinosauri“.