Nel 2022 la spesa complessiva per il mantenimento della struttura statale ha raggiunto la cifra “record” di 115,2 miliardi euro, una soglia mai toccata prima. Lo rileva l’Ufficio studi della Cgia.

Si tratta di un importo più del doppio dei 51,5 miliardi che la Pa ha speso l’anno scorso per gli investimenti che servono a realizzare o implementare i servizi (impianti e macchinari nell’istruzione, sanità, trasporti, etc.), costruzioni e opere di pubblica utilità (ospedali, scuole, asili, infrastrutture viarie) e ad acquisire prodotti di proprietà intellettuale (ricerca e sviluppo, software, etc.).

Il peso della sanità durante la pandemia

A spingere all’insù i costi di mantenimento, in particolar modo negli ultimi anni, secondo l’associazione, ci ha pensato la pandemia di Covid-19 e, recentemente, anche il caro bollette. Con l’avvento della pandemia, ad esempio, tra il 2020 e il 2021 la spesa sanitaria è salita di 4 miliardi di euro, mentre le altre principali voci in uscita non hanno subito variazioni significative.

Il paragone con l’Ue

Rispetto ai principali Paesi Ue, la spesa per il funzionamento della nostra Pa era nel 2021 pari al 6,2 per cento del Pil, in linea con quella tedesca (6,3% del Pil), ma leggermente superiore a quella spagnola (5,9%) e decisamente più elevata di quella francese (+5,1% del Pil). Rispetto a tutti gli altri Paesi analizzati, l’Italia si differenzia per una spesa dei consumi intermedi della sanità particolarmente elevata (2,5% del Pil), rispetto a quella spagnola (2%), francese (1,1%) e, in particolar modo, tedesca (0,8%).

Quanto spendiamo

La nostra spesa, sottolinea ancora la Cgia, “non è elevatissima, visto che è superiore alla media europea di soli 0,2 punti percentuali di Pil, tuttavia, se teniamo conto della qualità e della quantità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese, il costo di funzionamento della nostra Pa non appare per nulla giustificato: più di 6 punti di Pil è veramente troppo”. Secondo l’associazione degli artigiani, le prime dieci voci di spesa dei consumi intermedi incidono per il 70% circa del totale.

Fonte Agi

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