Russia e Ucraina sono stati definite il “granaio di Europa” per il loro ruolo leader nell’esportazione di cereali verso l’Ue e nel mondo, ma il conflitto che le vede protagoniste non è la sola causa dell’aumento dei prezzi. Nel settore agroalimentare italiano sono diverse le filiere messe in crisi dalla mancanza di materie prime provenienti dai due Paesi, in primis mais e olio di semi di girasole. Ma cosa si nasconde dietro gli altri rincari? Ad upday ne ha parlato Lorenzo Bazzana, responsabile dell’area economica di Coldiretti.
L’impatto economico del conflitto tra Russia e Ucraina, già visibile nell’aumento dei prezzi di molti prodotti, sta mettendo a rischio diverse filiere del settore agroalimentare italiano. Gas, grano tenero e duro, mais e olio di girasole: Ucraina e Russia rappresentano due partner strategici per l’Italia nella fornitura delle materie prime impiegate in diversi settori dell’industria alimentare, nonché negli allevamenti bovini e suini.
Ma quello dell’aumento dei prezzi è un fenomeno più ampio che la guerra da sola non basta a spiegare: per comprenderlo bisogna andare indietro di qualche anno, quando lo scoppio della pandemia ha fatto da detonatore a una situazione già complessa – carenza di materie prime, condizioni climatiche, improvviso aumento del fabbisogno energetico al momento della riapertura – innescando quella che molti hanno definito “la tempesta perfetta”. Ora la guerra rischia di peggiorarne le conseguenze. Vediamo in che modo.
Il peso della guerra nella crisi delle materie prime
“Il problema delle materie prime – spiega Lorenzo Bazzana, responsabile dell’area economica di Coldiretti – nasce prima della guerra, risale alla pandemia”: la chiusura per mesi di molte fabbriche ha determinato un taglio delle materie prime in circolazione. A essere interessati non sono stati solo i prodotti della terra, ma anche molti dei componenti utilizzati negli imballaggi, come alluminio, ferro e carta: “Ad esempio – aggiunge Bazzana – l’anno scorso di questo periodo l’industria del pomodoro lanciava l’allarme per la carenza di alluminio necessario a produrre i contenitori dei pelati”.
In realtà, le conseguenze del conflitto sulla fornitura di materie prime sono tutto sommato circoscritte ad alcune filiere specifiche. Secondo Ismesa (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) a fronte di un volume di esportazioni verso l’Ue pari a 5,4 miliardi di euro nel 2020, l’Ucraina ha destinato all’Italia solo il 3% del suo export agroalimentare. I prodotti più acquistati dalle nostre industrie sono il mais e gli oli grezzi di girasole, mentre il grano tenero e quello duro importati dall’Ucraina costituiscono solo una minima parte dei volumi acquistati all’estero. “Per le importazioni di grano – spiega Bazzana – l’Italia si affida soprattutto ad altri Paesi, come l’Ungheria o la Francia”.
Perché è così importante l’olio di semi di girasole
Da quando nel biennio 2015-2016 l’olio di palma è stato messo al bando dalla maggior parte delle industrie alimentari italiane, quello di girasole è diventato l’alternativa più utilizzata nella formulazione delle ricette di merendine, biscotti, creme spalmabili e di molti altri prodotti dell’industria dolciaria. Secondo i dati Istat elaborati dal Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria alle dipendenze del ministero delle Politiche agricole), l’anno scorso l’Italia ha acquistato dall’Ucraina quasi la metà dell’olio di girasole importato (46%) per un valore pari a 287 milioni di euro.
Se è vero che, come ha stimato Il ministero dello Sviluppo economico italiano, le scorte di olio di girasole in nostro possesso sono destinate a esaurirsi in meno di un mese, l’industria italiana dovrà fare i conti con una crisi che potrebbe protrarsi a lungo: se il conflitto continua diventerà impossibile non solo coltivare la semina, ma andrà perso anche ciò che resta del raccolto del 2021. È per far fronte a questa possibile crisi – spiega il responsabile di Coldiretti – che lo scorso 11 marzo il ministero ha diffuso una circolare che consente all’industria alimentare di utilizzare le etichette e gli imballaggi di cui è già in possesso, a patto di indicare l’olio impiegato in sostituzione a quello di girasole attraverso getto d’inchiostro o altri sistemi equivalenti (come sticker adesivi).
In questo modo quindi il consumatore potrà essere informato sugli ingredienti contenuti nell’alimento, nel rispetto del Regolamento europeo 1169/2011: “Possono essere raggruppati – si legge nell’allegato 7 – nell’elenco degli ingredienti sotto la designazione «oli vegetali», immediatamente seguita da un elenco di indicazioni dell’origine vegetale specifica e, eventualmente, anche dalla dicitura «in proporzione variabile». Tra le opzioni più gettonate per sostituire l’olio di girasole dall’Ucraina – oltre ai tentativi di aumentarne le importazioni da altri Paesi come Bulgaria, Romania, Messico e Argentina – ci sono l’olio di palma sostenibile, o altri oli come quello di oliva, di colza o di sansa.
Negli allevamenti mancano i mangimi
Sempre da Coldiretti arriva l’allarme per un altro settore dell’agroalimentare italiano, già in sofferenza da qualche anno: quello della carne e dei suoi derivati. “Il mais importato – sottolinea Bazzana – è alla base della produzione dei mangimi per i nostri allevamenti”. Sempre secondo Coldiretti l’Italia importa il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame. A metà marzo, in meno di un mese, la guerra aveva già tagliato fino al 10% le razioni di cibo a disposizione di mucche, maiale e polli nei nostri allevamenti.
A mettere ancora più in allarme il settore è stata la decisione dell’Ungheria di tagliare le esportazioni del prezioso cereale negli altri Paesi europei. Ucraina e Ungheria rappresentano infatti i due principali fornitori di mais per l’Italia: nel 2021 ne sono arrivati 1,6 miliardi di chili il 53% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame e altri 0,65 miliardi dall’Ucraina per un totale di 2,25 miliardi di chili, ovvero metà del totale delle importazioni (fonte Coldiretti).
Perché la pasta costa di più?
“Per quanto riguarda il rapporto con l’Ucraina, fatta eccezione per mais e olio di girasole, l’Italia non ha questi grandi rapporti di dipendenza”. Il discorso che fa il responsabile di Coldiretti vale soprattutto per il grano duro, ovvero quello impiegato nella produzione della pasta. Eppure anche su questo fronte i prezzi stanno aumentando: “Per fare la pasta bisogna trasformare il grano duro in semola e poi impastare quest’ultima per ottenere il prodotto finale. Due processi che richiedono energia”.
Ed è proprio l’energia la materia prima soggetta ai rincari più importanti: nel 2022 l’elettricità è aumentata fino al 200% e il gas fino al 600%. “Vero è che i costi dell’energia – aggiunge Bazzana – erano aumentati già prima della guerra, ma il taglio del gas russo finirà col peggiorare le cose”, anche vista la forte dipendenza tra gas naturale e produzione di elettricità.
Per intenderci, solo nel 2022 il gas ha fornito il 24% del fabbisogno energetico dei Paesi Ue. Nello stesso anno l’Eurostat ha stimato che il 44% del gas importato dall’Ue è arrivato dalla Russia. Quasi la metà del fabbisogno totale.