BRUNETTA INCHIODA GLI STATALI AGLI UFFICI – ACCOLTO COME IL FUTURO DEL LAVORO, ADESSO LO SMART WORKING E’ DA DEMONIZZARE: IL MINISTRO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE PUNTA A LIMITARE AL 15% LA QUOTA DI DIPENDENTI DA REMOTO E SPUNTANO DATI SUL FATTO CHE 4 LAVORATORI SU 10 SIANO STATI MENO EFFICIENTI (QUINDI IL 60% LO È STATO DI PIÙ?) – E MENTRE IN ITALIA LO SMART WORKING È “AI TITOLI DI CODA”, LE GRANDI MULTINAZIONALI CONTINUANO A SPINGERE SUL LAVORO DA CASA…

Francesco Bisozzi per “il Messaggero”

 

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In smart working quattro statali su dieci non hanno garantito la piena continuità dei servizi all’utenza. È tempo di bilanci per il lavoro agile nella Pa dopo che il ministro Renato Brunetta ha annunciato il ritorno al lavoro in presenza negli uffici pubblici: Palazzo Vidoni punta a limitare al 15 per cento la quota di dipendenti impiegati da remoto. I dati sulla resa dei lavoratori pubblici smartati in emergenza arrivano dall’Osservatorio sul lavoro agile del Politecnico di Milano.

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LO STUDIO

Così al Messaggero il responsabile scientifico dell’osservatorio Mariano Corso: «Dai numeri in nostro possesso emerge che circa il 60 per cento degli statali impiegati da remoto ha portato avanti da casa tutte le attività che doveva svolgere, mentre gli altri hanno avuto difficoltà. Gli uffici pubblici non sono partiti pronti: all’inizio il 70 per cento degli statali si è auto-dotato degli strumenti digitali necessari».

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Nella Pa 1,5 milioni di lavoratori hanno abbracciato lo smart working in maniera più o meno stabile nell’ultimo anno e mezzo. Ma ora lo «smart working all’italiana», per usare le parole del ministro Brunetta, è ai titoli di coda. Nei nuovi contratti per il pubblico impiego questa modalità di svolgimento dell’attività lavorativa verrà adeguatamente regolamentata per assicurare il diritto alla disconnessione e garantire la piena produttività delle amministrazioni.

 

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«Gli investimenti a favore della digitalizzazione della Pa sono andati aumentando e questo ha permesso al sistema di reggere l’onda d’urto della pandemia. Abbiamo anche imparato che nel pubblico si possono riorganizzare i processi e le attività all’insegna della flessibilità. Ma ci sono ancora sacche di inefficienza e rallentamenti: necessaria un’azione di monitoraggio per individuarne le cause», prosegue Mariano Corso che è anche membro della Commissione tecnica dell’osservatorio nazionale del lavoro agile istituita dalla Funzione pubblica.

 

La buona notizia è che grazie al lavoro agile esteso su larga scala un dipendente pubblico su due ha affinato e ampliato le proprie competenze digitali. Nel report sullo smart working dell’osservatorio del Politecnico di Milano si sottolinea anche che per il 39 per cento degli statali le maggiori criticità sono derivate dalla disparità nel carico di lavoro.

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Nello stesso report si evidenzia che nella seconda fase dell’emergenza un’amministrazione pubblica su tre ha deciso di favorire il ritorno al lavoro in presenza per migliorare la produttività. A Palazzo Vidoni ritengono che la «burocrazia in presenza» darà un’ulteriore spinta alla crescita del prodotto interno lordo.

 

LO SCENARIO

L’operazione di smantellamento del lavoro agile nella Pa è iniziata quando è stata mandata in soffitta la regola che imponeva di lasciare a casa almeno il 50 per cento dei lavoratori che svolgono attività smartabili. Il ministro Brunetta si è affidato ai Pola, i piani organizzativi per il lavoro agile, con cui le amministrazioni devono distinguere le attività che possono essere rese da remoto da quelle che vanno necessariamente svolte in presenza.

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I Pola confluiranno nel Piano integrato di attività e organizzazione, previsto dal decreto Reclutamento. Il piano conterrà gli obiettivi programmatici e strategici della performance, la strategia di gestione del capitale umano e di sviluppo organizzativo, anche mediante il ricorso al lavoro agile, oltre agli obiettivi formativi annuali e pluriennali. Non solo.

 

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Definirà le modalità di monitoraggio della qualità dei servizi, anche attraverso rilevazioni della soddisfazione dell’utenza. Nel frattempo un’indagine condotta dall’Ufficio studi della Cgia sembra dare ragione a Brunetta. «A pieno organico la nostra Pa presentava livelli di soddisfazione del servizio reso tra i più bassi d’Europa, figuriamoci adesso. Ma molti settori pubblici durante la pandemia hanno dimostrato livelli di efficienza straordinari, ma altri invece hanno rallentato», puntualizza il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo.

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Redazione Dagospia