BODA A COME PARLI – BELPIETRO: “SIAMO STATI MESSI ALLA GOGNA PER UNA NOTIZIA (VERA). NON C’ERA NESSUNA MANINA DIETRO L’INCHIESTA SU GIOVANNA BODA CHE AVEVA SCOPERTO DA SOLA L’ESISTENZA DEL PROCEDIMENTO, NON CERTO GRAZIE AL NOSTRO SCOOP. EPPURE “REPUBBLICA”, “FATTO” E “RIFORMISTA” CI ACCUSARONO DI AVERLA SPINTA A BUTTARSI DALLA FINESTRA. TUTTAVIA, IERI SONO ARRIVATE LE ORDINANZE DI CUSTODIA CAUTELARE PER IL PRESUNTO CORRUTTORE E PER ALCUNI COLLABORATORI…”
Maurizio Belpietro per “La Verità”
Qualche mese fa, io e il vicedirettore Amadori siamo stati messi alla gogna per aver fatto il nostro mestiere. Giacomo, da cronista infallibile qual è, ad aprile mise le mani su una notizia esclusiva, ovvero su un’inchiesta che riguardava il ministero dell’Istruzione e che vedeva nel mirino una serie di funzionari, tra cui la direttrice generale, vale a dire la persona più alta in grado all’interno del dicastero.
Le accuse formulate dalla Procura di Roma erano pesanti (si parlava di corruzione e di appalti assegnati fuori da ogni regola), al punto da indurre gli inquirenti a firmare un mandato di perquisizione non solo a casa dell’importante funzionaria, ma anche allo stesso ministero.
ARRESTO DI FEDERICO BIANCHI DI CASTELBIANCO
Un drappello di finanzieri che salgono ai piani alti del Palazzo certo non si vede tutti i giorni e dunque, essendo una notizia, La Verità ne ha dato conto e, come spesso ci capita, in perfetta solitudine.Il giorno successivo, mentre era nello studio del suo avvocato difensore, Giovanna Boda, questo il nome della direttrice indagata, si è buttata dalla finestra, ferendosi gravemente.
È bastato questo perché molti colleghi e imbratta carte si scagliassero contro di noi, cioè contro La Verità e contro il suo vicedirettore, accusandoci praticamente di aver spinto giù dal davanzale la signora.
C’è chi, come Il Riformista, ha pubblicato la mia foto a tutta pagina, lasciando intendere che fossi una specie di assassino, precisando che contro Giovanna Boda non esisteva alcuna accusa, ma che la sola cosa certa era che la mamma di una bambina di tre anni si era gettata dalla finestra per l’umiliazione. Altri hanno preferito alimentare l’idea che dietro l’inchiesta ci fossero ombre e veleni, corroborati da invidie e sospetti nei confronti di una donna di successo. Qualcuno, come Repubblica, ha deciso di buttarla in politica, parlando di una «dirigente modello che era stata promotrice della nave per la legalità», con il sottinteso significato che forse proprio per questo era finita nel mirino. Nando Dalla Chiesa sul Fatto Quotidiano si è invece esibito in un intervento teso a smontare ogni possibile accusa, a riprova della nostra malafede. Sul sito online dei dirigenti della scuola sono andati ancora più piatti, parlando di induzione al suicidio o addirittura omicidio: «Allorquando un giornale crea e getta il mostro in prima pagina, incurante delle conseguenze, esercita il diritto di cronaca o induce al suicidio ovvero commette un omicidio volontario?».
Manco a dirlo, la risposta era già contenuta nella domanda, perché per il sito in questione i mostri ovviamente eravamo noi, io e Amadori e ovviamente più in generale tutta la redazione della Verità. Secondo l’autore dell’articolo uscito sul sito dei dirigenti «in questo Paese basta un articolo di giornale, magari anche una lettera anonima, a volte con il consenso di persone dall’animo malvagio, per distruggere le persone». La difesa si concludeva dicendo che, «anche in presenza di una condanna e di prove che attesterebbero la sua corruzione (cioè di Giovanna Boda, ndr) non ci crederei». In compenso, assolta preventivamente la funzionaria, ci fu chi inventò l’apertura di un fascicolo a carico nostro, per la diffusione della notizia, costringendo i pm a diffondere una nota di smentita.Beh, la condanna non è arrivata.
maurizio belpietro sulla terrazza dell atlante star hotel (1)
Tuttavia, ieri sono arrivate le ordinanze di custodia cautelare per il presunto corruttore e per alcuni collaboratori. Evidentemente l’inchiesta non si è fermata con il tentativo di suicidio (grazie al cielo la signora è sopravvissuta e si sta curando). Certo, un arresto non è una sentenza passata in giudicato e si vedrà che prove hanno raccolto gli inquirenti, ma mi preme svolgere un paio di considerazioni. Evidentemente, nonostante ciò che hanno scritto i giornali, l’inchiesta non era frutto di veleni e sospetti, ma di atti che sono passati al vaglio di un giudice delle indagini preliminari il quale, dopo gli accertamenti della Guardia di Finanza e della Procura, ha disposto le ordinanze di custodia cautelare.
Ma ancor più di ciò, mi corre l’obbligo di far presente che agli atti si segnala una fuga di notizie che quel giorno indusse i magistrati a disporre una perquisizione in tutta fretta. Spiego per chi non vuole intendere. Giovanna Boda non apprese la notizia di essere indagata da un articolo di giornale, come la maggior parte della stampa ha scritto. L’informazione fu conseguente alla scoperta di una microtelecamera che la gettò nel panico e la spinse a contattare immediatamente il presunto corruttore. Non solo. Dopo la perquisizione, la signora non fece cenno neppure al marito, che di professione fa il magistrato, di ciò che era successo e cioè che degli agenti di polizia giudiziaria avevano perquisito casa e ufficio.
Poi sì, il giorno dopo siamo arrivati anche noi, a dare notizia di un’inchiesta, ma di certo non siamo stati noi a spingere la signora giù dal davanzale. Per il resto, ossia per tutte le difese d’ufficio fatte dal Riformista, da Repubblica, dal Fatto e da Nando Dalla Chiesa, segnalo che nelle ordinanze di custodia cautelare si parla non di due spicci, come in molti avevano lasciato credere, ma di appalti per l’ammontare di 23 milioni. Giovanna Boda avrebbe avuto nella sua disponibilità la casa da 280 metri quadri in cui risiede, ma che è di proprietà del presunto corruttore, un autista tuttofare, una segretaria, oltre alla possibilità di fare acquisti pagabili con una carta di credito gentilmente offerta. Insomma, scarpe, vestiti, spese voluttuarie e quant’ altro. A suo carico, la Procura ha anche disposto il sequestro di 340.000 euro.
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Chissà se il tizio che si interrogava se il nostro articolo fosse da considerarsi istigazione al suicidio o omicidio volontario si chiederà ora da dove arrivasse questo ben di Dio. Soprattutto, chissà se ancora non crederà a ciò che emerge dall’inchiesta. Una cosa comunque è certa, in redazione non c’è nessun mostro.
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