Per anni nel carcere di Bari alcuni agenti di polizia penitenziaria si sarebbero messi «a disposizione» dei detenuti, soprattutto quelli ai vertici dei clan mafiosi della città, «al fine di ottenere un ritorno economico ovvero di guadagnarsi il rispetto dei detenuti appartenenti ai clan da cui potevano ottenere protezione». Di qui, però, a ritenerli concorrenti dei mafiosi ce ne passa.È in estrema sintesi il ragionamento che hanno fatto i giudici del Tribunale di Bari nella sentenza del processo a due ex agenti di Polizia penitenziaria in servizio all’epoca, tra il 2008 e il 2013, nel carcere di Bari. Per il reato di spaccio di droga, il Tribunale ha condannato Giuseppe Altamura di Grumo Appula, soprannominato «Cartellino Rosso» e Francesco De Noia di Bitonto, detto «Franchin la Guardia» alla pena di 7 anni di reclusione e 90mila euro di multa. Per lo stesso reato è stato condannato a 4 anni e 6 mesi di reclusione e 75mila euro di multa il 37enne Vincenzo Zonno, figlio del boss Cosimo, colui che – secondo l’accusa – avrebbe commissionato l’introduzione della droga in carcere.Diverse accuse, pur ritenute provate (per esempio le corruzioni), sono state dichiarate prescritte. Il contestato concorso esterno in associazione mafiosa, invece, è stato ritenuto insussistente. I giudici infatti hanno assolto le due ex guardie carcerarie nel merito da questa accusa. La Dda contestava loro di aver «fornito un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo a noti pregiudicati» detenuti dei clan Parisi, Strisciuglio e Zonno. Per i giudici questa accusa «non sussiste».
Altamura e il collega, peraltro al servizio di clan diversi, vengono definiti nelle motivazioni della sentenza, depositate nei giorni scorsi, «battitori liberi, svincolati da logiche di appartenenza e mossi esclusivamente dal fine di svendere il ruolo di pubblico ufficiale al fine di ottenere remunerazioni da parte del migliore offerente».
Quel che è certo, infatti, è che lui e il collega introducevano in carcere droga, nascosta in pacchetti di sigarette, in cambio di regali e compensi in denaro (da 200 a 500 euro per ogni panetto da 100 grammi di hashish). E poi, come hanno raccontato diversi collaboratori di giustizia, da Altamura «arrivata di tutto: cornetti, profumi, infradito, cd, radioline, cozze crude, inchiostri per tatuaggi, persino un orologio». Sono proprio i «pentiti» ad aver parlato di «poliziotti collusi», che «facevano il tifo per i clan», nel senso che erano ritenuti agenti «corruttibili, i cui favori e servigi era possibile comprare mediante pagamento di somme di denaro o altro». Qualcuno ha riferito anche di «pizzini manoscritti» redatti dai detenuti e consegnati agli agenti perché li facessero pervenire a destinatari all’esterno (circostanza che tuttavia non risulta provata, cioè «non vi è prova – dicono i giudici – che l’imputato fungesse da portavoce delle volontà dei boss ristretti in carcere ai sodali operativi fuori dal circuito carcerario»).Quanto alle libertà di movimento concesse ai detenuti all’interno del carcere, «sembravano finalizzate – si legge nella sentenza – a rendere comoda e meno privativa la vita in restrizione dei soggetti beneficiari piuttosto che a favorirne contatti mirati a commettere reati all’interno dell’istituto penitenziario. Nessun summit tra appartenenti alle singole associazioni criminali è stato favorito da Altamura e De Noia ma piuttosto le concessioni elargite sembravano dirette a rendere più sostenibile e meno dura la vita carceraria di chi ne usufruiva».
Tra i reati di corruzione prescritti, c’è quello relativo alla ipotesi che Altamura nel 2009 avrebbe anche ricevuto da affiliati al clan Parisi un televisore da 42 pollici, come ringraziamento per i favori fatti nel periodo di detenzione (droga, lettori mp3, cd, profumi, orologi, aghi, filo), mentre l’agente De Noia, difeso dall’avvocato Attilio Triggiani, era accusato poi di aver introdotto in una occasione, nell’aprile 2012, i cosiddetti fili d’angelo, utili per segare le barre di ferro delle celle, perché alcuni detenuti stavano pianificando una evasione dal carcere (anche questo reato prescritto).
Come prescritta è la presunta aggressione commessa da Altamura, nell’aprile 2012, con calci e pugni sul viso di un detenuto affidato alla sua vigilanza.
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Articolo tratto dal Portale di Informazione InfoDifesa