ALITALIA, SALVATAGGIO O ACCANIMENTO TERAPEUTICO? – SERGIO RIZZO: “SI RIPARTE DACCAPO, CON UNA COMPAGNIA NUOVA DI ZECCA, UN NUOVO CDA, UN NUOVO PIANO INDUSTRIALE E ALTRI (TANTI) SOLDI. LA DIFFERENZA È CHE QUESTA VOLTA SI RICOMINCIA CON UN TERZO DEGLI AEREI, UNA CINQUANTINA APPENA, E LA PROSPETTIVA DI ARRIVARE A 105 NEL 2025, CIOÈ DUE TERZI DI QUANTI CE N’ERANO NEL 2008. NON È NECESSARIO ESSERE ESPERTISSIMI DI TRASPORTO AEREO PER CAPIRE CHE GIÀ QUI C’È QUALCOSA CHE NON VA…”
Sergio Rizzo per “la Repubblica – Affari & Finanza”
Q uando nel 2008 franò la prospettiva di cedere Alitalia al gruppo Air France-Klm, il ministro dell’Economia Padoa Schioppa confessò di essersi sentito come l’autista di un’ambulanza che trasportava un malato grave nell’unico ospedale disposto ad accettarlo. Ambulanza alla quale qualcuno aveva bucato le ruote: Silvio Berlusconi con la complicità dei sindacati. E quella era davvero l’ultima spiaggia.
Mai come adesso, 13 anni dopo, di fronte al terzo surreale tentativo di accanimento terapeutico sul defunto tenuto artificialmente in vita, quell’episodio va ricordato per spiegare come in questo Paese certa politica non abbia mai voluto fare i conti con la realtà. Peccato che poi ne facciano le spese i contribuenti. Ne sono testimonianza i 10 miliardi (cifra calcolata forse per difetto) che le Alitalia ci sono costate finora. Collezionando record inarrivabili di spreco.
È appena il caso di citare che oggi, caso unico, esistono ben due Alitalia in amministrazione straordinaria con annessi e connessi. Per non parlare di taluni trattamenti principeschi concessi a piloti e altri dipendenti rimasti senza lavoro grazie a uno speciale fondo integrativo della cassa integrazione gestito dall’Inps: ancora nel 2017 ne usufruivano ben 6.845 persone, di cui 280 con prestazioni comprese fra 5 e 10 mila euro mensili, 138 fra 10 e 20 mila euro e addirittura 56 con assegni che superavano i 20 mila euro al mese.
E adesso si riparte daccapo, con una compagnia nuova di zecca, un nuovo cda, un nuovo piano industriale e altri (tanti) soldi. Tre miliardi sono stati stanziati. Mentre la giostra delle amministrazioni straordinarie, dei commissari, dei consulenti, delle cause legali e relative parcelle dei legali, del passaggio di beni e attività da una mano all’altra, continua imperterrita a girare.
Eppure si ricomincia, rimettendo le lancette dell’orologio indietro di 13 anni, quando la compagnia di bandiera era di proprietà dello Stato. Con la differenza che questa volta si ricomincia con un terzo degli aerei, una cinquantina appena, e la prospettiva di arrivare a 105 nel 2025, cioè due terzi di quanti ce n’erano nel 2008.
MANIFESTAZIONE DEI LAVORATORI AIR ITALY E ALITALIA
Non è necessario essere espertissimi di trasporto aereo per capire che già qui c’è qualcosa che non va. Basta dare un’occhiata ai numeri. Il gruppo Lufthansa di aerei ne ha più di 600, Air France-Klm e Iag (British airways più Iberia e Air Lingus) circa 550 ciascuna, Ryanair più di 300, Easyjet oltre 250. Per trovare un vettore internazionale con una cinquantina di velivoli bisogna scendere fino ad Air Europa, terza compagnia spagnola.
Tanto da chiedersi che senso ha tutto questo. Mettere il turbo al turismo, come non si stancano di sostenere i fautori di questa nuova insensata avventura, ripetendo il concetto con cui Berlusconi nella campagna elettorale del 2008 bloccò la vendita di Alitalia ai francesi? Come se i turisti stranieri non venissero in Italia perché non c’è una compagnia di bandiera con il tricolore sulla coda che ce li porta.
Nel 2018 il traffico aereo da e per l’Italia ha toccato i 100 milioni di persone, con l’Alitalia che ne ha trasportate meno del 10 per cento (9,8 milioni). E allora aveva circa 120 aerei. Per fare un paragone, la sola Ryanair ha trasportato il triplo dei passeggeri: prova che nemmeno questa banale argomentazione turistica sta in piedi.
«Non stiamo organizzando un’azienda mini. Ma stiamo organizzando un’azienda che parte necessariamente allineata con la capacità che ha il mercato di assorbire la domanda e dall’altra con una prospettiva di competitività e di crescita», diceva appena quattro mesi fa alla Camera l’allora presidente della nuova compagnia, Francesco Caio, nominato dal governo Conte un anno prima e ora già uscito di scena per andare alla guida di Saipem.
Lo stesso Caio che quando era amministratore delegato delle Poste e quindi azionista di Alitalia si diceva «incoraggiato» dal lavoro che stava svolgendo Etihad: lavoro che ben presto avrebbe rivelato effetti catastrofici. La sensazione netta è che le motivazioni alla base della decisione di creare Ita (per inciso devono anche aver studiato a lungo, nonché pagato qualcuno, per partorire una sigla così innovativa) siano ben distanti dalla realtà della competitività e della crescita promesse allora.
Comunque misteriose, e in ogni caso oggi nemmeno giustificabili, per il costo che comporta, dall’esiguità del bacino elettorale che un tempo Alitalia rappresentava. Ma ancora più netta è la sensazione che a fronte di un piano industriale giudicato da molti discutibile, soprattutto l’orizzonte sia avvolto da una nebbia nella quale la politica avanza a tentoni.
Qualche giorno fa il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti ha di nuovo tirato fuori la vecchia storia ferroviaria, ipotizzando una qualche integrazione fra la minuscola compagnia aerea pubblica e le Fs. Progetto già messo in campo dal primo governo Conte e poi tristemente accantonato per palese impraticabilità. Una suggestione, peraltro, che risale nientemeno che all’inizio degli anni 90, quando si cercava una soluzione per l’Alitalia, già all’epoca in crisi profonda al punto da non riuscire a chiudere in trent’ anni un solo bilancio in utile.