È morta all’età di 98 anni l’ex ispettore capo Rosa Scafa, la prima donna a indossare la divisa della Polizia di Stato. Scafa mosse i primi passi nel corpo assieme ad altre 22 colleghe, dopo un corso tenuto nel 1951. In 33 anni di servizio, dal 1952 al 1985, ha fatto parte della Polizia civile di Trieste, della polizia femminile e, dal 1981, della polizia di Stato. Nel corso della sua carriera, si è occupata soprattutto di reati commessi o subiti da donne e minori; successivamente ha lavorato al servizio speciale di assistenza ai dipendenti e ai loro familiari. Nel 2010, durante la festa per i 158 anni della Polizia, Rosa Scafa è stata premiata in occasione del 50esimo anniversario dell’ingresso delle donne in Polizia. La sua lunga carriera ha lasciato un segno indelebile nella storia della Polizia italiana e nella lotta per i diritti di tutte le donne.
Dalla Calabria a Trieste nel dopoguerra
In un’intervista al Corriere di Roberta Scorranese che nel 2020 le chiedeva perché negli anni Cinquanta avesse scelto di diventare la prima donna poliziotto italiana, lei rispondeva così: «Perché avevo bisogno di lavorare. Ero la maggiore di otto fratelli, la guerra ci aveva portato via tutto, il lavoro non c’era. Manco come operaia mi volevano. E avevo pure il diploma di maestra. In Polizia ci sono entrata per necessità, ma poi mi sono innamorata di quel lavoro». La guerra aveva diviso la sua famiglia: il papà lavorava a Trieste, la madre e la nonna erano rimaste a Vibo Valentia. «Quando riuscimmo a raggiungere Trieste trovammo un disastro: papà senza lavoro, la casa che non c’era più». Rosa divenne vigilatrice estiva delle colonie della Croce Rossa. Ma nel 1951 c’erano i corsi per entrare nella polizia femminile del governo militare alleato. «Presentai la domanda appena in tempo, mi assegnarono alla Buoncostume per assistere i minori».
Le esperienze difficili
Pesanti le esperienze vissute dalla poliziotta. «Un giorno mi portarono un bambino che avrà avuto due anni. Durante la notte il padre aveva ammazzato la madre. Lui era destinato ad un istituto d’accoglienza. C’è voluta tutta la mia forza per separarmi da quella creatura, quella notte», ha raccontato ancora al Corriere. Scafa impara una verità semplice che tutti sapevano ma che nessuno allora osava dire a voce alta: è dentro casa che si consumano le violenze più atroci. E per tutta la vita avrà sempre un’attenzione particolare per le donne fragili. Poi, nel 1960, un bivio: «Potevamo scegliere di essere assunte come impiegate civili oppure entrare nella Polizia Italiana». Lei non ebbe dubbi: «Per carità, non mi ci vedevo dietro a una scrivania. Volevo fare la poliziotta. I colleghi mi hanno sempre trattata come una di loro, mai una volta che il mio essere donna sia stato un problema». Divenne così la prima donna della Polizia tricolore.
Il rapporto con le prostitute
Filippo Furlan, il collega che Rosa ha sposato a 39 anni, è mancato tempo fa, ma «siamo stati marito e moglie per trent’anni, cinque mesi e sette giorni». Non hanno avuto figli, ma il legame è stato ugualmente fortissimo. Scafa è stata a lungo a contatto con le prostitute, che le ha sempre chiamate «signorine» e guai a chi si azzardava ad apostrofarle in altro modo in sua presenza. «Sono donne che hanno perso la strada, se sono arrivate fin lì è un po’ colpa di tutti». Il Questore di Trieste, Pietro Ostuni, la ricorda così: «Siamo più che addolorati, Rosa Scafa per noi era un’istituzione. L’avevo incontrata prima di Natale, ero andato a casa sua per farle gli auguri e ho trovato una donna forte, intelligente, motivata nonostante la sua età. Per noi è stata un punto di riferimento e un esempio, che dovremo seguire e conservare dentro di noi. La sua morte ci addolora particolarmente».
Leggi al Costo di un Caffè: Senza Pubblicità e Con Contenuti Premium!
Articolo tratto dal Portale di Informazione InfoDifesa