Il 2022 è un anno fondamentale, con più di 100 scadenze. I fondi valgono 191,5 miliardi più altri 30, da spalmare fino al 2026. Gli obiettivi principali riguardano ambiente, digitalizzazione e inclusione sociale. Ma tra atti mancanti, documenti assenti e dichiarazioni fuorvianti, la trasparenza si è persa per strada.
Il 2022 sarà un anno decisivo per la ripresa economica dell’Italia. I motivi sono legati soprattutto al Pnrr, il piano di ripresa stilato dal governo per accedere ai fondi post-pandemia stanziati dall’Unione Europea. Mentre nel 2021 il governo ha dovuto rispettare 51 consegne, nel corso del 2022 è chiamato a rispettarne 100.
È anche alla luce di questo che nell’elezione del nuovo inquilino del Quirinale il Parlamento ha optato per la rielezione di Sergio Mattarella. Un’eventuale elezione del Presidente del consiglio Mario Draghi (principale candidato fin da subito) avrebbe infatti rallentato i lavori, perché sarebbe stato necessario formare un nuovo governo. A confermarlo sono stati gli stessi mercati, che dopo una settimana di incertezza hanno reagito positivamente alla scelta dei grandi elettori.
Che cos’è il Pnrr
Il Pnrr, cioè piano di ripresa e resilienza, fa parte di un progetto europeo più ampio denominato Next Generation EU. Il Next Generation – che in Italia viene spesso chiamato fondo di ripresa o Recovery Fund – è un piano di investimenti che il consiglio europeo ha approvato nel luglio del 2020 con l’obiettivo di offrire aiuto ai paesi membri che più avevano subito i contraccolpi economici della pandemia. Il piano europeo ha durata compresa tra il 2021 e il 2023 e prevede finanziamenti per più di 1824 miliardi di euro.
Il Pnrr vale invece 191,5 miliardi ed è il frutto di una complessa approvazione. Il Consiglio dei ministri ha dovuto sottoporlo a entrambe le Camere e poi – il 30 aprile 2021 – alla Commissione europea. Il governo italiano ha inoltre stanziato altri 30 miliardi e mezzo per alcuni progetti che erano rimasti esclusi dal Pnrr. La proposta finale è stata approvata il 22 giugno 2021.
I fondi dovrebbero arrivare progressivamente, e comunque non oltre il 2025, e dovranno essere spesi entro il 31 dicembre del 2026.
Com’è strutturato il piano
Non si tratta di finanziamenti a fondo perduto, ma di prestiti che gli stati membri dovranno restituire nella quasi totalità dei casi. L’Italia, ad esempio, si è impegnata a restituire il 64% dei soldi del Pnrr. Inoltre l’erogazione dei fondi è subordinata all’attuazione di importanti riforme. Tra le 63 riforme incluse nel piano, l’Italia dovrà attuare una riforma della giustizia, una della semplificazione burocratica e una della pubblica amministrazione.
Il piano è strutturato in quattro aree (ossia obiettivi generali, riforme e missioni, attuazione e monitoraggio e infine valutazione dell’impatto macroeconomico), ha tre priorità (inclusione sociale, transizione ecologica e digitalizzazione) ed è articolato in sei diverse missioni, che sono in sostanza i piani d’intervento principali su cui il governo vuole operare. Tra questi vi sono la salute, la digitalizzazione, l’ambiente e la ricerca.
Ad ogni missione corrispondono infine obiettivi specifici, tra cui ad esempio il potenziamento di asili nido e università, investimenti sulla rete ferroviaria e sulla telemedicina e il miglioramento dell’efficienza idrica ed energetica. Per ogni obiettivo sono stanziati fondi specifici.
La mappa delle scadenze
Nel complesso il piano prevede 226 misure da realizzare, suddivisi tra riforme e investimenti. Le loro scadenze sono 527, divise in target (cioè traguardi) e milestone (cioè obiettivi), con la differenza che le milestone consistono in obiettivi dichiarati, mentre i traguardi sono caratterizzati da numeri che esprimono l’effettivo raggiungimento degli obiettivi individuati precedentemente. Secondo la timeline del governo ogni trimestre da qui al 2026 si dovranno raggiungere determinati milestone e target, mentre l’Ue verificherà l’effettivo raggiungimento una volta ogni sei mesi. Al momento la missione più impegnativa è quella legata alla digitalizzazione, che da sola incorpora 220 scadenze.
Al 30 marzo bisognerà raggiungere sette milestone, mentre al 30 giugno altre 37 milestone e un target. Buona parte di queste scadenze riguarda la missione sulla digitalizzazione, ma non solo. C’è anche la pubblicazione del primo bando per interventi socio-educativi a favore di 20mila minori per combattere la povertà educativa nel Mezzogiorno e la presentazione dei progetti per i piani urbani integrati. I singoli adempimenti sono spesso in capo a singoli enti o ministeri, a seconda delle competenze. Al momento l’Italia ha ricevuto un acconto di 25 miliardi di euro ed è in attesa del primo finanziamento vero e proprio, che dovrebbe attestarsi intorno ai 21 miliardi. La data effettiva dipende però dalla capacità del governo di rispettare le scadenze.
La mancanza di trasparenza
Il 24 dicembre del 2021 il governo ha pubblicato una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori che però è apparsa piuttosto vaga e comunque aggiornata a novembre. Solo poche ore prima Draghi aveva affermato in conferenza stampa di fine anno il completamento di tutte le scadenze legate all’attuazione del Pnrr. Ma un’analisi del Sole 24 Ore aggiornata a metà dicembre affermava che all’appello mancavano 13 scadenze non ancora completate.
Anche Openpolis ha denunciato una scarsa trasparenza nella comunicazione delle scadenze. Secondo l’osservatorio i pochi documenti pubblici rilasciati dal governo sul tema sono molto vaghi e non danno indicazioni sugli atti adottati e quelli ancora da adottare. Ci sono inoltre poche informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori e il sistema pensato per la comunicazione con i cittadini è lacunoso e talvolta inutilizzabile.
Intervistato da Pagella Politica, Andrea Borruso, presidente di onData e rappresentante della campagna datiBenecomune, ha affermato che “Al momento il sito Italia domani resta una vetrina e da quando è andato online non c’è stato nessun avanzamento significativo rispetto alle modalità per rendere il piano monitorabile” e che “I dati oggi pubblicamente disponibili non sono adeguati al rispetto del dialogo che dovrebbe esserci con la società civile, viste le enormi risorse messe in campo”.