LA NAVE TOGATA AFFONDA E I MAGISTRATI SI AZZANNANO – L’INTERVISTA DI FRANCESCO GRECO AL “CORRIERE”, CON CUI IL CAPO DELLA PROCURA DI MILANO HA ACCUSATO PIERCAMILLO DAVIGO DI AVER USATO I VERBALI DI AMARA PER I SUOI OBIETTIVI, E’ LA RESA DEI CONTI DI FINE IMPERO – A UN PASSO DALLA PENSIONE, GRECO PROVA A DIFENDERE LA SUA GESTIONE NEL MODO PIU’ CLASSICO: CI ATTACCANO PERCHE’ SIAMO PURI – E INFATTI HA EVOCATO L’INSOFFERENZA VERSO LA PROCURA PERCHE’ UN BALUARDO “SUL FRONTE DELLA LEGALITÀ POLITICA ED ECONOMICA NAZIONALE E INTERNAZIONALE”
Giacomo Amadori per “la Verità”
Alla vigilia della pensione e a un passo dalla storica sconfitta della sua corrente, Magistratura democratica, nella corsa per la Procura di Milano, il capo dei pm meneghini, Francesco Greco, toga rossa fiammante, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera che suona come il grido di Sansone nel libro dei Giudici: «Ch’ io muoia insieme coi Filistei!».
Nel suo testamento Greco si è lanciato, coltello tra i denti, contro il pm Paolo Storari e contro Piercamillo Davigo, quasi coetaneo compagno nel pool di Mani pulite, «colpevoli» di aver fatto conoscere i verbali segretati del faccendiere Piero Amara, che per mesi erano rimasti sigillati nei cassetti della Procura, tranne alcuni scampoli omissati indirizzati a questa o quella Procura. Come le accuse fumose e rivelatesi infondate («Io stesso le avevo registrate come “atti non costituenti notizie di reato”» rivendica un po’ a sorpresa Greco) nei confronti del giudice Marco Tremolada, presidente del collegio che doveva decidere il processo Eni Nigeria.
Un procedimento che ha rappresentato la Waterloo dell’era Greco. Ma torniamo ai siluri sparati contro Davigo, che a inizio 2020 ha ottenuto «sottobanco» da Storari le trascrizioni delle dichiarazioni di Amara; «L’uscita era nell’interesse di Davigo che non si è preoccupato assolutamente della sorte del procedimento e quando ha lasciato il Csm quei verbali li ha abbandonati. Fatto imbarazzante» azzarda Greco, facendo riferimento al «regolamento di conti» che Davigo aveva in corso con l’altro consigliere della sua stessa corrente, Sebastiano Ardita.
In altri termini, a giudizio di Greco, Davigo perseguiva nella vicenda un proprio tornaconto che nulla aveva a che fare con la legge e la giustizia. Anzi Davigo e Storari, operando fuori dalle regole, si sarebbero garantiti armi non convenzionali: «Quando si agisce senza un protocollo, puoi variare la doglianza a seconda del bisogno, e il consigliere del Csm (Davigo, ndr) può diffamare, così come è successo, senza che ci sia la possibilità di una replica dell’interessato».
Ma la slavina di accuse non si arresta. Greco rivela che avrebbe imposto lui stesso «le iscrizioni di Amara e dei suoi sodali per Ungheria, mentre Storari le aveva volontariamente omesse». Sempre il pm, oltre ad aver inferto una «coltellata nella schiena» del suo capo, avrebbe «tradito la fiducia della collega» Laura Pedio e «messo in difficoltà» le Procure di mezza Italia che stanno indagando sul falso pentito Amara in «coordinamento investigativo» con Milano.
E a quelle già note Greco aggiunge anche quella di Reggio Calabria, notizia mai trapelata prima e della cui rivelazione gli inquirenti calabresi saranno certamente grati. Il procuratore fa anche sapere di non credere alla buonafede di Storari, che si è astenuto con molto ritardo nell’indagine sulla spedizione anonima dei verbali a Repubblica e al Fatto Quotidiano, e la prova della sua slealtà sarebbe «la lettera anonima (agli atti delle Procure di Roma e di Brescia) che accompagnava la seconda consegna dei verbali al Fatto».
Infatti l’epistola, «detenuta in originale unicamente da Storari» e di cui il procuratore sarebbe «venuto a conoscenza solo recentemente», fa sapere Greco, «non lasciava dubbi sulla loro provenienza (dei verbali, ndr), riportando nel dettaglio tutti i colloqui avuti da Davigo con soggetti istituzionali e con diversi colleghi, nonché l’indicazione precisa che provenivano dalla Procura di Milano».
In sostanza Storari, «assolto» dal Csm e blindato al suo posto da una mail (della cui esistenza Greco sembra dubitare) di solidarietà firmata da 56 pm su 64, non la racconterebbe giusta sulla sua mancata astensione e avrebbe addirittura intercettato l’ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, «per un reato che sapeva non essere mai stato commesso, l’accesso abusivo a sistema informatico (quella della Procura, ndr)». In pratica Greco accusa il collega di calunnia e falso ideologico.
È chiaro che la guerra tra magistrati abbia superato il livello di guardia, ma per il procuratore le critiche alla sua gestione sono la spia di un’insofferenza verso «l’anomalia» della Procura meneghina, un baluardo «sul fronte della legalità politica ed economica nazionale e internazionale»: «Il desiderio di avere le mani libere ha accompagnato da sempre parte delle classi dirigenti politiche ed economiche del paese» proclama, mentre intorno a lui sta crollando tutto.