Fulvio Abbate per Dagospia
Lo dico subito, prendendo in prestito una leggendaria battuta riferita, un tempo, a una leggendaria caramella di un bianco polare dissetante: qui c’è soltanto l’orologio con Roman Pastore intorno.In tutto ciò, la cosa più desolante nella vicenda del giovane Pastore (e del suo ormai leggendario orologio), ventunenne candidato con la lista di Carlo Calenda al Consiglio comunale di Roma, finita per lui in modo un po’ penoso, per aver esibito appunto al polso un Audemars Piquet, riguarda l’incapacità interpretativa di molti.
La stampa di destra, per bocca dell’amico Alessandro Sallusti, per l’occasione ha fatto l’elogio del lusso, che peraltro, personalmente, condivido in pieno, in modo assoluto, e ci mancherebbe altro. Essendo tutti noi, come spiega alla perfezione il filosofo esistenzialista Albert Camus, impossibilitati alla felicità, coscienti d’essere condannati a morte fin dalla nascita, niente è più rassicurante, se non doveroso, del concedersi ogni piacere, cominciando dalle gioie del collezionismo, poco importa se di capolavori di Picasso o fosse anche di un prestigioso anello tempestato di gemme preziose, così da poterlo indossare perfino nel proprio pisello.
E non sembri questa una caduta di stile, semmai un magnificat del principio del piacere. Purtroppo, nel nostro paese segnato da un ampio analfabetismo talvolta addirittura funzionale e dalle tare catto-comuniste, la semiologia non ha mai sfondato, nessuno che davvero abbia acceso una luce votiva sotto il volto di Roland Barthes, gigante della spiegazione delle cose accompagnate fin dentro i loro significati, significanti e referenti.
La questione che investe Roman Pastore va affrontata, appunto, sul piano semiologico: e qui spero che Carlo Calenda, da noi già definito amichevolmente “spermatozoo d’oro di una certa Roma”, essendo egli persona ironica di mondo, comprenda bene il senso delle cose, al punto da trasferire queste nostre serene considerazioni al ragazzo, al suo campioncino di lista.
In breve, il problema di Roman Pastore è spiegabile in modo semplice: come ho scritto ieri su tweet, il ragazzino nel suo scatto elettorale assai orgoglioso del proprio orologio (che, beninteso, non è un Rolex, come alcuni imprecisi hanno sostenuto per accreditare il luogo comune ordinario, appunto, dei “comunisti col Rolex”) semmai un Audemars Piquet, feticcio del lusso smart non da meno, cose da remake in politica di “Riccanza”.
Purtroppo per Pastore, a una attenta osservazione si comprende che non è il diretto interessato a indossare il prestigioso orologio, semmai è l’orologio a indossare, tragicamente, il candidato, surclassando ogni altra possibile immagine politica. In quanto ostentato come must, come benefit, di più, dal Pastore ritenuto valore aggiunto, kriptonite dell’identificazione che porterebbe voti e plauso.
In realtà, brilla invece qualcosa di mostruosamente caricaturale nella sua ostentazione, e lo stesso credo possa valere per altri “segni” che il giovane altrettanto porta addosso, tracce sovrastrutturali che il semiologo, se davvero fosse ancora tra noi, potrebbe spiegare assai meglio di me. Nell’ordine: la montatura degli occhiali “performanti”, la polo blu bordata di bianco, tutte cose che sembrano dire: guardatemi, lavoro per essere classe dirigente, per, come direbbe uno studente della LUISS o della Bocconi, “per creare la mia leadership” (sic).
Fulvio Abbate con la Julleuchter
Osservando il tutto ancora meglio c’è però da rilevare qualcosa di visibilmente “cartonato” nel ventunenne Roman, la sconfitta di ogni possibile casual a favore invece di un abbigliamento che nella narrazione dell’ammezzato subculturale politico nazionale rimanda alle vetrine di “Davide Cenci”, negozio in Campo Marzio, Roma, dove si rifornisce il generone politico e non solo.
Ora, Carlo Calenda, pervenuto alla coscienza dell’informalità da torneo di tennis a Orbetello, come nella canzone-manifesto di Flavio Giurato, invece di difenderlo d’ufficio, ascoltando le nostre parole dovrebbe semmai dissuaderlo da questo genere di outfit (orrenda parola) per l’appunto da cartonato dirigenziale di piazzale delle Muse. Come non accorgersi che dietro l’apparente eleganza del ventunenne arde qualcosa di spettralmente banale, degna del più grigio conformismo dello status, con cui invece Roman Pastore suppone di presentarsi al meglio ai suoi potenziali elettori.
Wittgenstein sosteneva, in opposizione a coloro che ritenevano il grigio un non-colore che si trattasse piuttosto di un colore “solido”. Bene, quanto alla solidità politico culturale del ragazzo Pastore, cercando qualcosa, una traccia umana che vada oltre l’orologio, per usare nuovamente una battuta riferita, un tempo, alla leggendaria caramella dissetante: qui c’è soltanto l’orologio con Roman intorno.
Chissà se questa la capiranno coloro che l’hanno difeso contro la gente “di sinistra” che sul tema ha fatto, altrettanto tragicamente, un discorso al limite del pauperismo, chiamando in causa perfino il reddito di cittadinanza grillino contrapposto alla voglia di lusso. Viva la ricchezza, ma anche un’idea di stile che trascenda la lunga linea antracite del generone in questo caso fedele a se stesso già dal primo semestre della post-adolescenza.
FULVIO ABBATE FULVIO ABBATE roman pastore roman pastore roman pastore FULVIO ABBATE