I dati diffusi dall’Istat, relativi al primo trimestre del 2023, certificano che la forbice tra inflazione e valore delle retribuzioni è ancora ampia, nonostante il rallentamento della crescita dei prezzi. Protesta l’Unc, l’Unione nazionale consumatori: “Adeguare gli stipendi al costo della vita”.
L’inflazione interessa ancora l’Italia, fa sapere l’Istat, e nonostante un rallentamento della crescita dei prezzi rispetto all’ultimo aggiornamento, ora l’attenzione è sulla forbice tra l’aumentato costo della vita e il valore delle retribuzioni. Nel primo trimestre del 2023, la differenza tra la dinamica dell’inflazione e gli aumenti delle retribuzioni, che si registrano in forma contenuta, rimane superiore di sette punti percentuali. Non si sono fatte attendere le reazioni delle associazioni di consumatori, come l’Unione nazionale consumatori, che protestano contro il mancato adeguamento degli stipendi al costo della vita per lavoratori e consumatori.
“Nella media del primo trimestre, nonostante il progressivo rallentamento della crescita dei prezzi, la differenza tra la dinamica dell’inflazione (Ipca) e quella delle retribuzioni contrattuali rimane superiore ai sette punti percentuali”. Spiega così l’Istat e aggiunge “nel primo trimestre 2023, gli incrementi a regime dei rinnovi del comparto pubblico relativi al triennio 2019-2021 accelerano la crescita delle retribuzioni contrattuali, che tuttavia rimane contenuta”. La modesta dinamica retributiva osservata nel comparto industriale – dove la quasi totalità dei contratti è in vigore – si associa alla limitata entità degli incrementi fissati dai rinnovi siglati tra il 2020 e 2021 (quando le aspettative inflazionistiche erano ancora molto contenute). Nel settore dei servizi, la più contenuta crescita salariale è anche legata al fatto che più della metà dei dipendenti è in attesa del rinnovo del Ccnl.
Dove crescono le retribuzioni
La retribuzione oraria media nel periodo gennaio-marzo 2023 è cresciuta del 2,2% rispetto allo stesso periodo del 2022, fa sapere l’Istituto. L’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a marzo 2023 segna un aumento dello 0,1% rispetto al mese precedente e del 2,2% rispetto a marzo 2022; l’aumento tendenziale è stato dell’1,4% per i dipendenti dell’industria, dello 0,9% per quelli dei servizi privati e del 4,9% per i lavoratori della pubblica amministrazione. I settori che presentano gli aumenti tendenziali più elevati sono: attività dei vigili del fuoco (+11,7%), ministeri (+9,3%) e servizio sanitario nazionale (+6,4%). L’incremento è invece nullo per edilizia, commercio, farmacie private e pubblici esercizi e alberghi. Qui è possibile leggere il quadro completo delle retribuzioni.
Unc: “Inaccettabile che gli stipendi salgano solo del 2,2%”
Secondo i dati resi noti oggi dall’Istat, a marzo l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie sale del 2,2% rispetto a marzo 2022.”Una vergogna! È inaccettabile che le bollette di luce e gas siano raddoppiate, l’inflazione a marzo sia al 7,6%, pari a un rincaro di 1755 euro per una famiglia media, 1320 euro per un single con meno di 35 anni, mentre gli stipendi salgano solo del 2,2%%, 3 volte e mezzo meno” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.
“Fino a che gli stipendi non sono adeguati all’aumento del costo della vita, preservando il potere d’acquisto delle famiglie, i consumi resteranno al palo e di conseguenza il Pil crescerà, come in questo primo trimestre 2023, dello 0,5%” prosegue Dona.
“Urge il ripristino della scala mobile all’inflazione programmata. Preoccupa, infatti, che il tempo medio di attesa di rinnovo per i lavoratori con contratto scaduto, per quanto diminuito, sia ancora pari a 23,4 mesi, ossia due anni. Un tempo abissale inaccettabile, vista l’impennata dei prezzi” conclude Dona.