La Commissione europea ritiene che alcune disposizioni legate all’assegno unico e al reddito di cittadinanza violino il diritto dell’Unione. Bruxelles ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia: ecco le misure nell’occhio del ciclone e cosa succede ora.
Nel giorno in cui l’Inps deve erogare l’assegno unico relativo al mese di febbraio, arriva una doccia fredda: la Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione sulla misura introdotta dal governo Draghi e voluta fortemente dall’ex ministra per le pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti (Italia Viva).
Cosa è l’assegno unico
L’Assegno unico universale è un bonus destinato alle famiglie con figli. La misura è entrata in vigore il primo marzo 2022. Ma con la prima manovra dell’esecutivo Meloni sono state introdotte alcune novità. Ad esempio, per le famiglie con quattro o più figli a carico l’assegno aumenterà del 50%. Questo incremento entrerà in vigore dal primo marzo.
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Le motivazioni della Commissione Ue
La Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione inviando una lettera di all’Italia per mancato rispetto delle norme comunitarie in materia di coordinamento della sicurezza sociale e sulla libera circolazione di lavoratori. Bruxelles contesta il fatto che possano beneficiare dell’assegno solo le persone che risiedono da almeno due anni in Italia e solo se risiedono nella stessa abitazione dei loro figli. Questa misura violerebbe il diritto comunitario. In aggiunta, un regolamento europeo “vieta qualsiasi requisito di residenza per ricevere prestazioni di sicurezza sociale come gli assegni familiari”, si legge ancora nella nota della nota dell’esecutivo di Bruxelles.
Il reddito di cittadinanza
Nello stesso resoconto della Commissione, c’è spazio anche per il reddito di cittadinanza. Misura per cui il governo Meloni sta studiando delle modifiche. Una delle condizioni per riceverlo è aver risieduto in Italia per dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Secondo la Commissione, le prestazioni di assistenza sociale come questa “dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’Unione europea che sono lavoratori subordinati, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza“.
Per palazzo Berlaymont, dovrebbero poterlo ricevere anche i cittadini comunitari che non lavorano, con la sola condizione che risiedano legalmente in Italia da più di tre mesi. Per una direttiva europea, anche i residenti “di lungo periodo” non provenienti dall’Unione dovrebbero poter accedere a questo sussidio. Il requisito della residenza in Italia da 10 anni “si qualifica come discriminazione indiretta perché è più probabile che i non italiani non soddisfino a questo criterio”, scrive la Commissione. Infine, il reddito discriminerebbe i migranti beneficiari di protezione internazionale che non possono averlo e impedirebbe agli italiani di andare a lavorare all’estero, in quanto non potrebbero ricevere il sussidio in caso di ritorno in patria.
Cosa succede ora
L’Italia ha ora due mesi per rispondere alle osservazioni sollevate dall’esecutivo di Bruxelles guidato da Ursula von der Leyen. In caso contrario, la Commissione può decidere di inviare un parere motivato. Nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato, la Commissione può presentare ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee.