L’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp) ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle politiche di genere in Italia. Dai dati analizzati emerge che, nonostante un generale miglioramento della situazione occupazionale, il divario fra uomini e donne resta ampio e preoccupante.
L’occupazione cresce, ma non intacca il divario di genere. Pur avendo toccato quota 60,5% lo scorso ottobre, il valore più alto dal 1977, i tassi di occupazione di uomini e donne continuano a restare distanti (rispettivamente 69,5% e 51,4%) con un gap di genere del 18%. È quanto emerge dal Gender policies report 2022, la pubblicazione dell’Inapp che ogni anno fotografa le differenze di genere nel mondo del lavoro.
Disoccupazione maggiore fra le donne
Il tasso di disoccupazione femminile è al 9,2% contro il 6,8% degli uomini, divario che aumenta per i giovani fra i 15 e i 24 anni con tassi del 32,8% per le ragazze e il 27,7% per i ragazzi. Anche la sfera della non partecipazione vede ancora penalizzate le donne con un tasso di inattività del 43,3 % contro il 25,3% degli uomini.
Contratti part time: gli uomini ne usufruiscono meno
I dati relativi al primo semestre del 2022 confermano la specificità femminile del part time come forma di ingresso al lavoro. Su tutti i contratti attivati a donne il 49% è a tempo parziale contro il 26,2% maschile. In particolare, è a part time oltre la metà (51,3%) dei contratti a tempo indeterminato delle donne. Mentre tipicamente femminile è la condizione di ‘debolezza rafforzata’ ossia la presenza di due fattori di criticità associati: la forma contrattuale precaria e il tempo parziale. Se consideriamo solo il lavoro a tempo determinato, che occupa il 38% dei contratti delle donne e il 43% di quelli degli uomini, si nota che della prima quota il 64% è part time e della seconda lo è il 32%. Nel 2021 l’incidenza di donne occupate che lavorano in part time è superiore rispetto agli uomini di circa 15 punti percentuali in Europa e di più di 22 punti in Italia.
Meno flessibilità e partecipazione all’organizzazione degli orari
I dati sulla conciliazione vita-lavoro evidenziano un mercato del lavoro italiano più rigido della media europea. Le donne, sia in Europa che in Italia, godono di minore flessibilità rispetto agli uomini. Nel nostro Paese tale difficoltà si coglie soprattutto per le lavoratrici laureate, per cui tali indicatori sono sopra la media Ue. Le lavoratrici, secondo il rapporto di Inapp, sono meno coinvolte nell’organizzazione degli orari di lavoro: in Italia nel 76% dei casi è il solo datore di lavoro a decidere l’orario di ingresso e uscita dal lavoro, contro una media Ue 27 del 57%, rispetto a valori maschili rispettivamente del 68 e 62%.
Criticità strutturali ancora presenti e ‘algoritmi discriminatori’
Nel mercato del lavoro c’è una nuova forma di discriminazione, ovvero quella legata all’uso degli algoritmi da parte delle piattaforme digitali. Tali strumenti, infatti, risentono del sistema di significati, idee e giudizi e con essi di stereotipi e pregiudizi di chi li ha ideati e costruiti. Ne deriva che nel mercato del lavoro digitale si riproducono esattamente gli atteggiamenti discriminatori che si riscontrano nei lavori tradizionali. ‘’Restano immutati i gap di genere nel mercato del lavoro e le criticità strutturali che determinano la bassa partecipazione femminile: occupazione ridotta, prevalentemente precaria, part time e in settori a bassa remuneratività o poco strategici. Dunque, la situazione femminile, pur migliorata in termini assoluti, peggiora in termini relativi’’. È la conclusione di Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp.
Fonte Adnkronos