In Italia il mercato del lavoro è ancora ostile nei confronti dei giovani. Guadagnano poco, hanno difficoltà a trovare impiego e hanno contratti fragili indesiderati. I laureati sono pochi e le competenze non vengono premiate abbastanza. Anche per questo i cervelli continuano a fuggire: il danno vale l’1% del Pil ogni anno. Ma ora c’è un piano per il loro rientro.
L’Italia è un paese inospitale verso i giovani. A dimostrarlo ci sono i dati sulla qualità della vita e sul mondo del lavoro, che anche in occasione della giornata mondiale della capacità dei giovani (celebrata ogni 15 luglio a partire dal 2014) lasciano l’Italia ben indietro rispetto alle medie europee.
Tra le motivazioni dietro a questa situazione c’è anzitutto un mercato del lavoro quasi immobile e un ascensore sociale rotto, oltre agli alti costi del lavoro e a una tassazione tra le più alte d’Europa. Come conseguenza, negli anni una dose massiccia di giovani laureati si è trasferita all’estero in cerca di condizioni lavorative migliori. Secondo le stime, negli ultimi anni l’Italia ha perso circa 260mila persone in giovane età e con alti livelli di istruzione, con ingenti danni per la collettività.
I dati impietosi
Ad aprile 2022 i dati sull’occupazione illustravano una condizione molto svantaggiata per i giovani italiani. Il tasso di disoccupazione nella fascia 15-29 anni è del 22,1% contro il 13,3% della media europea. Si tratta di una variazione rispetto alla media Ue molto sostanziosa, anche a fronte del fatto che la disoccupazione nella fascia 50-64 anni è invece in linea con quella degli altri paesi Ue.
Il record negativo si raggiunge col numero di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet), che in Italia sono di più che in ogni altro Paese dell’Unione europea. In termini percentuali siamo al 23.3%.
I giovani che lavorano hanno anche i contratti più indesiderati e fragili del panorama nazionale. Nel 45% dei casi si tratta di un contratto a termine, e il 78% dei giovani con un contratto part-time dichiara di averlo firmato contro la propria volontà, che sarebbe invece quella di vivere in una condizione contrattuale più stabile. A fronte di una grande difficoltà ad accedere al mondo del lavoro e a farlo in condizioni di sufficiente stabilità, è difficile anche far carriera. L’Italia ha meno del 15% di dirigenti under40, contro una media europea del 31%.
La questione delle competenze
A differenza di altri paesi Ue, in Italia le competenze vengono premiate meno. Secondo un’analisi di Datamagazine ancora oggi il diploma è il titolo di studio più ricercato dai datori di lavoro, e le professioni di cui cresce la domanda sono quelle relative a lavori per cui non è necessaria una lunga esperienza di studio. Tra questi camerieri, autisti, baristi, operai e impiegati.
Gli italiani con una laurea sono uno su cinque, pochi rispetto al resto d’Europa, e guadagnano meno di chi ha lo stesso titolo di studio e vive altrove. E mentre i giovani faticano ad affermarsi, i redditi da pensione o da rendita degli over 65enni crescono a dismisura: se nel 2003 la media era di 1.180 euro, nel 2021 è stata di 1.989 euro.
La fuga dei cervelli
Questi dati macroeconomici sono alla base della scelta effettuata da molti giovani ben istruiti di lasciare il nostro Paese. Si stima che tra il 2008 e il 2020 l’esodo di italiani verso l’estero abbia generato ha una perdita complessiva di 259mila giovani, di cui tre su dieci in possesso di una laurea. Ciò si traduce in un danno di circa 14 miliardi di euro all’anno, ossia un punto percentuale di Pil.
Tra i motivi della fuga c’è la possibilità di fare carriera e di entrare nel mondo del lavoro già con un ruolo elevato all’interno della gerarchia aziendale. Parlando ad upday, Michele, 27enne romano trasferitosi a Londra subito dopo una laurea magistrale a pieni voti in ingegneria conseguita in Italia, ha spiegato che tra le ragioni dell’espatrio c’era la possibilità di essere assunto subito come capo dell’ufficio. “Venni contattato per un colloquio e mi venne offerta la possibilità di entrare da subito avendo un team di dodici persone sotto il mio controllo” ha spiegato. “E così accettai e mi trasferii”.
Lo stesso Michele ha raccontato che lo stipendio offerto era molto alto, anche a fronte di un maggior costo della vita. “Dopo un periodo di adattamento umanamente non facile, ho capito che proporzionalmente e in termini di capacità di acquisto ci ho sicuramente guadagnato rispetto alla condizione che avrei trovato in Italia”, ha commentato.
Il piano di rientro
Nonostante l’ottimo lavoro iniziale e la possibilità effettivamente avveratasi di una rapida ascesa all’interno dell’azienda, oggi Michele ha nei propri piani quello di tornare a Roma. “La scelta – spiega – è dettata in parte dalla volontà di riavvicinarmi ai miei cari, e in parte favorita dalle possibilità che ora offre il governo”.
Già nel 2021 l’Italia ha infatti avviato un progetto di rientro per i cosiddetti cervelli in fuga. Il piano consiste in un forte sconto dell’Irpef, la tassa sui redditi. I candidati devono presentare un’apposita domanda e in caso di successo per cinque anni possono essere tassati solamente sul 10% o il 30% dei propri redditi, in funzione dei propri titoli di studio e del curriculum lavorativo.
Per Michele l’opportunità di rientrare proviene da uno dei bandi pubblici avviati in concomitanza con il Pnrr. “In questo momento vivo ancora a Londra, ma sto studiando per un importante concorso pubblico” spiega. “Grazie agli sconti fiscali previsti dal piano dovrei riuscire a ottenere uno stipendio più che buono per i prezzi italiani e a vivere vicino alle persone che più amo”. Nel frattempo però continua a lavorare nel Regno Unito, in attesa di poter rientrare e lavorare adeguatamente anche in Italia.