Negli ultimi vent’anni si sono verificati tra i 350 e i 500 disastri ambientali di medie e grandi dimensioni. È quanto emerge dal rapporto Gar 2022 dell’Onu, in cui si prevede un aumento di eventi catastrofici entro il 2030 che metteranno a rischio milioni di vite.

Un problema sottovalutato

Solamente otto anni ci separano dal resoconto dell’Agenda 2030, l’impegno per lo sviluppo sostenibile nato nel 2015 e firmato dai 193 Paesi dell’Onu, Italia compresa. È poco il tempo e sono ancora tanti gli obiettivi da raggiungere, di cui molti messi a dura prova dalle sempre più crescenti crisi climatiche. Il loro numero si starebbe intensificando e la portata di queste crisi, secondo la sesta edizione del GAR 2022 sulla riduzione del rischio di catastrofi (disponibile qui anche nella versione integrale), sarebbe preoccupante a livello mondiale.

Il cambiamento climatico avrebbe un impatto maggiore sui poveri e sui vulnerabili, ulteriormente penalizzati dalla pandemia. Questi disastri sarebbero da imputare a una bassa percezione del rischio e a fattori come l’ottimismo, la sottovalutazione e l’invincibilità, con conseguenti decisioni rischiose a livello politico, finanziario e di sviluppo.

Se la situazione proseguirà in questo modo, il numero di disastri all’anno a livello globale potrebbe aumentare del 40% tra il 2015 al 2030. Ogni anno, fino al 2030, si verificheranno circa 560 disastri naturali che colpiranno i Paesi più poveri dell’Asia (Filippine, Bangladesh, Myanmar, India, Indonesia, Pakistan e Vietnam), spesso colpevoli di produrre elevati tassi di emissione di CO2. Senza una riduzione immediata delle emissioni in tutti i settori, limitare il riscaldamento globale sarà impossibile.

All’impatto a lungo termine dei disastri si aggiunge inoltre la mancanza di assicurazioni per la ricostruzione di territori devastati. Dal 1980, solo il 40% dei danni causati da calamità è stato assicurato, mentre i tassi di copertura assicurativa nei Paesi in via di sviluppo erano spesso inferiori al 10% o vicini allo zero.

Quali sono i disastri più comuni

L’Ufficio delle Nazioni Unite per la riduzione del rischio di catastrofi (UNDRR) definisce un disastro come una “grave interruzione del funzionamento di una comunità o di una società“, che può causare perdite umane e avere conseguenze su tutti i settori. Un team di esperti, l’Hazard Definition and Classification Review, ha delineato oltre 300 tipi di pericoli che possono contribuire ai disastri e che includono eventi comuni come tempeste e inondazioni, ma anche eventi meno frequenti come pandemie e incidenti chimici.

Vulnerabilità ed esposizione sono le principali caratteristiche dei luoghi in cui avvengono i disastri. La rapida urbanizzazione, ad esempio, sta rendendo le persone più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici, in parte a causa della concentrazione di grandi città nelle aree costiere soggette agli effetti dell’innalzamento del livello del mare. Si prevede che entro il 2100, 200 milioni di persone nel mondo siano colpite dall’innalzamento del livello del mare.

I disastri oltretutto, non sono sempre eventi “naturali”, ma frutto del rapporto tra gli esseri umani e l’ambiente e possono essere a insorgenza rapida (come tifoni, terremoti o inondazioni improvvise) o a insorgenza lenta (come siccità o desertificazione) in cui gli impatti si manifestano nel corso di mesi o anni.

La pandemia ha aumentato la povertà e le disuguaglianze

L’avvento del coronavirus ha determinato un aumento della povertà globale che non veniva registrato dal 1998. La pandemia ha generato 97 milioni di nuovi poveri, principalmente in Asia meridionale e in Africa subsahariana. Qui la fame e la malnutrizione sono un problema a causa dei sistemi agroalimentari che dipendono dalle precipitazioni e dalla variabilità della temperatura.

La pandemia inoltre ha accresciuto le vulnerabilità esistenti nei sistemi sanitari. Il rapido sviluppo dei vaccini è stato accompagnato da disparità di accesso, con la distribuzione che ha favorito i Paesi più ricchi. I piccoli Paesi che dipendono dal turismo, durante la pandemia sono stati particolarmente colpiti dalla crisi (ad esempio le isole nei Caraibi e nel Pacifico) e la disoccupazione è aumentata un po’ ovunque, in particolare per le donne. Anche il settore dell’istruzione ne ha risentito. Per metà delle regioni dell’Asia e del Pacifico è diventato impossibile studiare anche a causa della mancanza di connessione a Internet. È imperativo, secondo il report, allineare il cambiamento climatico e gli investimenti per la ripresa della Covid-19 per ridurre i rischi e stabilizzare lo sviluppo sostenibile.

Cosa fare nel concreto

Per prima cosa è importante la rielaborazione dei sistemi finanziari, di investimento e di quelli assicurativi per incentivare la riduzione del rischio. I governi e il settore finanziario devono migliorare il modo in cui tengono conto dell’entità delle attività finanziarie a rischio in vari scenari di cambiamento climatico.

Un esempio di successo in tal senso è quello della Costa Rica che nel 1997 ha adoperato leve finanziarie per promuovere azioni di conservazione e di cambiamento climatico. Il Paese ha utilizzato le entrate della carbon tax per finanziare la conservazione delle foreste e lo sviluppo sostenibile. Più recentemente, nel 2020, De Nederlandsche Bank è diventata la prima banca centrale a tracciare la biodiversità come rischio finanziario materiale. Questa azione ha rivelato che il 36% dei valori del portafoglio delle istituzioni finanziarie olandesi era esposto a rischi legati alla natura climatica.

Un altro cambio di rotta prevede che le governance dei sistemi finanziari non adottino più approcci dall’alto verso il basso. È quindi necessario rafforzare la partecipazione, la trasparenza e il dialogo con i cittadini nel processo decisionale in materia di rischio. In particolare, è necessario migliorare la comunicazione con i gruppi ad alto rischio. Ad esempio, l’analisi a seguito dell’eruzione vulcanica in Guatemala, ha mostrato come la consapevolezza e il dialogo e l’azione comunitaria fossero centrali per un’azione di ripresa efficace.

Infine, è necessario migliorare la gestione del rischio multiscala. Ovvero è necessaria maggiore enfasi nella pianificazione degli scenari per gestire disastri estesi. Ad esempio, gli adeguamenti apportati ai sistemi sanitari sulla base delle conoscenze e dei feedback locali sono stati essenziali per creare fiducia durante l’epidemia di Ebola del 2014 in Liberia.

La buona notizia, secondo Mami Mizutori, rappresentante speciale del segretario generale dell’UNDRR, è che le decisioni umane sono i maggiori fattori che contribuiscono al rischio di catastrofi, quindi abbiamo il potere di ridurre sostanzialmente le minacce poste all’umanità, e in particolare di aiutare i più vulnerabili.

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