Le esplosioni in Transnistria, autoproclamata Repubblica autonoma filorussa in Moldavia. Le dichiarazioni del ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, che torna a parlare apertamente di “terza guerra mondiale”. La visita a Kiev del segretario di Stato americano, Antony Blinken, e del capo del Pentagono, Lloyd Austin. Sono tutti elementi che lascerebbero presagire un lento ma inesorabile allargamento del conflitto attualmente in corso in Ucraina, o perlomeno un innalzamento della tensione. Ma quali sono i rischi reali?

Nel pomeriggio di lunedì 25 aprile sono state segnalate esplosioni nell’edificio di un’agenzia della sicurezza a Tiraspol, capitale della Transnistria. Nella giornata di oggi gli “attacchi” sono stati due. La Repubblica, proclamatasi indipendente dalla Moldavia nel 1990 ma non riconosciuta a livello internazionale, è abitata da oltre 550.000 persone, di cui la maggior parte è russofona. Il suo nome indica, letteralmente, i territori “oltre il fiume Dniester” e al confine con l’Ucraina. Quest’area sembra sospesa in un tempo ormai lontano: statue di Lenin ed esempi di architettura minimalista sovietica sono ancora di casa. La falce e il martello, sormontati da una stella dorata, campeggiano ancora sulla bandiera a righe orizzontali rosse e verdi (cui spesso viene affiancata anche quella della Federazione Russa).

Transnistria: l’ipotesi “false flag”

Il governo moldavo, in riferimento alle esplosioni a Tiraspol, ha parlato di un probabile attacco con lanciagranate, precisando che non ci sono stati né morti né feriti. Le autorità di Kiev, invece, considerano l’attacco un “false flag” russo, cioè un’operazione artefatta da usare come pretesto per intervenire a favore dei russofoni di Transnistria. In maniera simile, ma non identica, il presidente russo Vladimir Putin aveva dato il via a febbraio all’invasione dell’Ucraina, definendola una risposta alle richieste di soccorso da parte delle repubbliche separatiste filorusse di Lugansk e Donetsk. Tiraspol dista solo un centinaio di chilometri da Odessa, principale porto ucraino sul Mar Nero.  

Lavrov parla di guerra nucleare, Blinken e Austin a Kiev

Secondo il ministro degli Esteri russo Lavrov, a questo punto la minaccia di un conflitto nucleare è “seria, reale”. “La Nato, in sostanza, è impegnata in una guerra per procura contro la Russia e sta armando questo intermediario”, ha aggiunto il capo della diplomazia di Mosca. La Russia, dunque, alza i toni, ma probabilmente l’obiettivo del Cremlino è anche quello di lanciare un segnale a Washington dopo la visita di Blinken e Austin a Kiev. “Non sappiamo come si svolgerà il resto di questa guerra, ma sappiamo che un’Ucraina sovrana e indipendente sarà in circolazione per molto più tempo di quanto Vladimir Putin non sarà sulla scena”, ha affermato il segretario di Stato. “Vogliamo vedere la Russia indebolita ad un livello tale da non poter fare il genere di cose che ha fatto invadendo l’Ucraina”, ha detto per parte sua il capo del Pentagono.

Di Liddo (CeSI): “Agitazioni in Transnistria per disunire le forze di Kiev”

Ma quanto è concreta quindi la possibilità di un allargamento del conflitto? “In questo momento non abbiamo molti elementi empirici per sapere quale direzione prenderà la crisi in Transnistria, ma possiamo fare delle ipotesi sulla base di quello che vediamo sul terreno”, spiega ad upday Marco Di Liddo (senior Analyst Russia e Balcani presso il Centro studi internazionali, CeSI). “La Transnistria si sente parte della famiglia e del sistema politico russo e sappiamo che nel suo territorio sono presenti circa 1.700 militari russi che vi stazionano da inizio anni Novanta: incidenti come questi, in un periodo di polarizzazione come quello della guerra, possono provocare tensioni in maniera rapida”, argomenta lo studioso. “La Russia ha tutto l’interesse a far sì che queste tensioni salgano, perché se la Transnistria ‘si agita’ parte delle forze armate ucraine devono rimanere nel quadrante Sud-Ovest per monitorare gli sviluppi di quello che accade in zona e non possono trasferirsi verso Est, dove i russi stanno per lanciare la spallata in Donbass”, afferma di Liddo.

L’ipotesi del secondo fronte e la provocazione dei russi

“L’altra ipotesi – prosegue – è che l’agitazione in Transnistria porti all’apertura di un vero e proprio secondo fronte in Ucraina, nella parte opposta rispetto all’attuale centro degli scontri. Questo, però, presenta alcuni elementi di criticità: le forze russe nella regione e gli elementi militari locali non sono numerosissimi e dal punto di vista logistico avrebbero bisogno di un sostegno che la Russia difficilmente riuscirebbe a garantire”. In altre parole, il problema della logistica – che già si è dimostrato il tallone d’Achille delle forze di Mosca in Ucraina – renderebbe complicata questa possibilità.

“La terza ipotesi è che, laddove nelle settimane scorse è partita una narrativa sulla discriminazione e sui pericoli che corre la popolazione russofona in Transnistria, c’era bisogno di un avvenimento che certificasse questa situazione. I russi, quindi, potrebbero aver organizzato questo tipo di provocazione con tale obiettivo”, spiega lo studioso.

Il gioco degli Usa: una Russia debole e “disincentivata”

Ma gli americani a che gioco stanno giocando, dal momento che – dice Austin – puntano al logoramento anziché al ritiro dei russi? Secondo Di Liddo “le due cose sono strettamente legate” perché “una Russia debole non è solo costretta a ritirarsi, ma anche disincentivata dall’intraprendere azioni in altri territori a rischio come i Baltici e il corridoio su Kaliningrad”.

In questo senso, aggiunge l’esperto, gli Stati Uniti intendono “fare in modo che l’urto militare nel breve termine sia assorbito dalla resistenza ucraina e che la Russia sia costretta a scendere a compromessi e a negoziare su posizioni diverse rispetto a quelle che ha posto sinora e che sia scoraggiata a intraprendere nuove iniziative militari”.

Resta il fatto che la Russia resta una potenza nucleare, anche al netto di un suo possibile ridimensionamento sul fronte della guerra convenzionale”, conclude lo studioso.

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