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La curiosità ci induce a esplorare il mondo e fare nuove scoperte: dal punto di vista evolutivo, è una spinta essenziale alla sopravvivenza quasi come la fame. Eppure le basi biologiche di questo istinto rimangono in un certo senso misteriose. Uno studio pubblicato su Science individua in un’area cerebrale chiamata “zona incerta” le origini della curiosità nei topi – ossia dei loro comportamenti investigativi e della ricerca di nuovi stimoli.. Un mistero ancora da sciogliere. La motivazione a indagare situazioni ignote è considerata fondamentale tanto quanto gli istinti di sopravvivenza di base: è infatti il prerequisito evolutivo dell’apprendimento complesso (quello che coinvolge le funzioni cognitive superiori, come l’intelligenza e la creatività).
Tuttavia gli studi sulle basi neurologiche della curiosità non hanno finora portato a scoperte epocali. La maggior parte delle ricerche si era concentrata sui centri neurali che governano il meccanismo della ricompensa, la ricerca di situazioni gratificanti. Ma la curiosità alimenta la sete di esplorazione anche quando non ci si aspetta nessun “premio finale”, e persino in condizioni potenzialmente rischiose. In altre parole, la curiosità è spesso fine a sé stessa.. Guardati attorno! Un gruppo di scienziati del Netherlands Institute for Neuroscience, in Olanda, ha sviluppato una serie di esperimenti per valutare in che misura i topi interagissero con oggetti nuovi o familiari, con la possibilità di osservare e modulare nel frattempo la loro attività cerebrale. L’attenzione dei ricercatori si è ben presto indirizzata su una popolazione di neuroni della zona incerta, che fa parte di una struttura cerebrale profonda, il subtalamo; questo gruppo di cellule è parso infatti incaricato di motivare i topi a esplorare nuovi oggetti e interagire con altri loro simili appena conosciuti.
I neuroni individuati sembrano inoltre assegnare un valore intrinseco alle nuove esperienze a prescindere dalle previsioni sul loro esito, e promuovono i comportamenti esplorativi inibendo un’altra regione cerebrale implicata invece nei comportamenti motivati o nelle risposte ai pericoli.. Siamo appena all’inizio. Disattivando questi neuroni con tecniche di optogenetica, cioè usando impulsi luminosi su cellule geneticamente marcate per rispondere alla luce, la curiosità dei topi si è placata: i comportamenti esplorativi si sono ridotti nella durata e si sono fatti più superficiali. Anche se le basi neurali che guidano la curiosità nell’uomo restano sconosciute, altri studi hanno dimostrato che la zona incerta ha un ruolo nel suscitare la curiosità nelle scimmie.
«Sappiamo ancora molto poco su questa area cerebrale nell’uomo – spiega Alexander Heimel, a capo dello studio – perché si trova in profondità nel cervello e la sua attività è difficile da misurare con scansioni cerebrali». Quella imboccata sembra però la strada giusta per rispondere ad alcune domande importanti su questo istinto: perché alcuni individui sono più curiosi di altri? E perché a volte la curiosità ha la meglio sull’istinto di sicurezza?.

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Redazione articolo a cura di Focus

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