IL CAMPIONATO PIÙ RIDIMENSIONATO DEL MONDO – OCCHIO PERCHÉ LA SERIE A RISCHIA DI PERDERSI PER STRADA 100 MILIONI CHE FINIVANO NELLE TASCHE DEI PRESIDENTI DEI CLUB GRAZIE AI DIRITTI TELEVISIVI – COLPA DI UNA NORMA DEL 2018 FIRMATA DALL’ALLORA MINISTRO LOTTI CHE ASSEGNA UNA FETTA DELLA TORTA IN BASE AL BACINO D’UTENZA, CALCOLATO ANCHE SULL’AUDIENCE TELEVISIVA: QUI CASCA L’ASINO, VISTO CHE LE RILEVAZIONI CHE FA DAZN SONO DIVERSE DA QUELLE AUDITEL E I CONTI NON TORNANO…
Andrea Montanari per “MF”
Cento milioni in bilico. È questa la somma che, leggi e decreti alla mano, rischiano di perdere i presidenti dei 20 club di Serie A dopo l’assegnazione dei diritti tv per le stagioni 2021-2024 aggiudicati a Dazn per 840 milioni all’anno (ha ottenuto tutte le 10 partite di ogni singola giornata, sette delle quali in esclusiva), grazie al supporto (340 milioni) del partner commerciale Tim. Il rischio è sulla carta, ma può essere concreto, normativa in vigore alla mano.
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Tutto ruota attorno al decreto che nel marzo 2018 firmò l’allora ministro dello Sport Luca Lotti, braccio destro dell’ex premier Matteo Renzi. La norma contenuta nel cosiddetto «Pacchetto Sport» inserita nella legge di bilancio di tre anni fa andò a modificare sensibilmente la legge Melandri, tuttora in essere, in merito alla spartizione degli introiti dalla cessione dello sfruttamento delle immagini del massimo campionato di calcio italiano.
diletta leotta durante la prima giornata di serie a 3
Nel dettaglio, il decreto Lotti prevedeva che se una quota del 50% della somma totale era da suddividere in parti uguali tra le società di A e un altro 30% andava ripartito sulla base dei risultati sportivi conseguiti, vi era infine un’altra fetta della torta complessiva, il restante 20%, che doveva essere redistribuito ai club ai base al bacino d’utenza.
È proprio quest’ultima opzione a rappresenta la variabile che più preoccupa i presidenti di calcio. Perché in questo articolato calcolo, che nelle intenzioni di Lotti garantiva una spartizione più equa tra le 20 squadre di A, bisognava e occorre ancora oggi tenere conto della variabile rappresentata dagli ascolti televisivi: un aspetto non certo secondario.
Perché il decreto prevede che dell’ultima porzione della torta da dividere, ossia il 20%, l’8% sia ripartito in base a criteri più oggettivi e misurabili come l’audience televisiva certificata da Auditel – soggetto vigilato da AgCom -, come si evince anche dalle interpretazioni che compaiono sui siti di diversi studi legali come Tonucci&Partners.
È qui che si insinua il rischio attuale. Perché come è emerso in queste settimane, Dazn si è affidata a Nielsen per la rilevazione della sua platea di abbonati e per gli ascolti che, come emerso nei giorni scorsi, sono stati rispettivamente di 4,3 e 4,7 milioni di spettatori per le prime due giornate del campionato 2021-2022.
Valori superiori a quelli calcolati da Auditel al punto che come già riferito da MF-Milano Finanza il 31 agosto nelle prime due giornate si sono persi 2,2 milioni di telespettatori. Questo in base ai dati ufficiali Auditel, il punto di riferimento per il mercato pubblicitario televisivo.
Come ha evidenziato Italia Oggi il 4 settembre, sulle singole partite nel minuto medio Dazn misura il 58,1% in più di audience davanti alle connected tv rispetto alla metodologia Auditel. Tradotto: se la norma in vigore prevede che nel calcolo dei diritti da attribuire a ogni singolo club del massimo campionato di calcio si tenga anche conto dei dati di ascolti, allora i valori validi non possono che essere quelli della società presieduta da Andrea Imperiali che storicamente registra ascolti e share della tv italiana.
Anche se, va detto, come ha indicato l’Ott la nuova rilevazione Nielsen è una novità assoluta per il mercato visto che prende in considerazione anche la parte streaming, finora mai calcolata sul mercato. Però, va detto, che questa opzione non è contemplata nel decreto Lotti che determina i calcoli della Lega.
A quanto corrisponde la somma a rischio? Considerando che al momento i ricavi ottenuti dalla cessione dei diritti audiovisivi è di poco più di 970 milioni e che si attende l’esito della trattativa per i Paesi dell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa) che può garantire introiti per 300 milioni, si può calcolare che la Confindustria del pallone potrà incassare più di 1,2 miliardi. Quindi la variabile «ascolti tv» che vale l’8% della somma totale, in termini di ripartizione, equivale a poco più di 100 milioni.
La somma che può essere realmente a rischio incasso da parte dei club, visto che fa fede il dato Auditel e non quello Dazn-Nielsen. È forse per questo che alcuni presidenti di club iniziano a fare calcoli e a porsi domande.
Non per nulla la settimana scorsa, al Festival delle tv e dei nuovi media di Dogliani (Cuneo), Urbano Cairo, azionista di controllo di Rcs Mediagroup e proprietario del Torino ha ribadito ancora una volta che va riconsiderata l’opzione relativa all’offerta da 1,7 miliardi, fatta dai fondi Cvc, Advent e Fsi per il 10% della media company della Serie A e che dopo lunghe valutazioni e trattative era stata bocciata dall’assemblea di Lega.
Un’opportunità che, come già riferito da questo giornale lo scorso 7 luglio e rilanciato nell’edizione del 3 settembre, può tornare d’attualità visto che in precedenza era stato bocciata a maggioranza: c’erano 7 club a favore dell’ingresso dei fondi.
Così, secondo indiscrezioni di mercato, il tema dei fondi dovrebbe tornare d’attualità in mese di ottobre quando anche i vertici della Lega, in particolare il presidente Paolo Dal Pino, promotore dell’iniziativa, avrà fatto ulteriori verifiche con la controparte e magari preso contatto con il numero uno della Liga spagnola, Javier Tebas che invece, in agosto, ha definito proprio con Cvc la cessione del 10% a fronte di un incasso di 2,7 miliardi.
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